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 2020  giugno 24 Mercoledì calendario

Usa, mattatoi incubatori del virus

Al 16 giugno, oltre 25mila dipendenti di mattatoi negli Stati Uniti sono stati contagiati dal coronavirus. Almeno 91 sono morti. Ciononostante, Donald Trump ha definito gli impianti di trasformazione della carne «infrastrutture critiche», costringendo i loro addetti a tornare al lavoro. Le condizioni di lavoro nelle grandi strutture dove la carne bovina, suina e avicola viene tagliata e impacchettata per il consumo al dettaglio sono molti simili, in America come in Europa. Non è un caso allora che su entrambe le sponde dell’Oceano i focolai più ostinati di Covid-19 siano concentrati non nelle metropoli ma nel bel mezzo di pianure semideserte come la contea di Moore, in Texas. Qui, a 22 residenti su mille è stato diagnosticato il Covid-19, un tasso d’infezione 10 volte superiore alle più grandi città americane. La contea ospita uno dei più grandi impianti di trasformazione di carni bovine degli Stati Uniti, gestito da Jbs Usa, dove eserciti di dipendenti tagliano fino a 5mila manzi al giorno. I fattori che aumentano il rischio del contagio sono noti. Come ha confermato di recente anche un rapporto del Centro per il controllo della malattie Usa (Cdc) nascono dalla vicinanza prolungata fra i lavoratori, dal clima negli impianti e dai ritmi di lavoro. In un solo impianto oltre mille persone restano infatti in piedi spalla a spalla per ore di fila, mentre le carcasse passano velocemente davanti a loro appese a ganci.
Il ritmo frenetico provoca affanno, rendendo difficile indossare le mascherine. Inoltre l’ambiente freddo e umido e i sistemi di ventilazione aggressivi necessari per impedire il deterioramento della carne consentono al virus di rimanere in vita più a lungo e di diffondersi più velocemente del normale. La lavorazione della carne infine è un lavoro estenuante e pericoloso svolto princi- palmente da lavoratori sottopagati, immigrati spesso senza documenti che vivono in case sovraffollate. La deregolamentazione dei macelli negli ultimi due decenni e la continua crescita nel consumo della carne negli Usa ha aumentato la frequenza degli incidenti nei mattatoi, secondo l’Amministrazione della sicurezza e della salute sul lavoro, che anche prima della pandemia denunciava «i gravi rischi per la sicurezza e la salute, compreso l’uso di apparecchiature pericolose, i movimenti ripetitivi che provocano disturbi muscolari e l’uso di sostanze chimiche pericolose». La più grande differenza rispetto all’Europa è che negli Stati Uniti la scoperta dei focolai di Covid, circa due mesi fa, non ha portato, che si sappia, a un miglioramento delle condizioni di lavoro. Il Cdc infatti già ad aprile ha raccomandato che i trasformatori di carne rallentino le linee di produzione e utilizzino meno lavoratori per turno, ma non ha dati su quanti impianti rispettino le regole. Alcuni consumatori hanno anche avanzato l’ipotesi che gli stessi animali possano essere un vettore per il contagio. Ma Angela Rasmussen, virologo del Center for Infection and Immunity presso la Columbia School of Public Health, esclude la possibilità. «Non vi sono prove che animali domestici o da allevamento abbiano alcun ruolo nella trasmissione della malattia», spiega, escludendo anche rischi dal consumare carne toccata da persone infette da Covid- 19, nonostante la Cina abbia sospeso le importazioni di pollame proveniente da un mattatoio. «La carne non è un rischio – ha detto –. Non ci sono prove di trasmissione di origine alimentare».