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 2020  giugno 24 Mercoledì calendario

Djokovic, maniaco della salute

Lo ha fregato il nemico invisibile ma soprattutto la cieca fiducia nelle proprie convinzioni, quella che ha trasformato lui, il signore del tennis, in un’icona sbiadita dei no vax: «Sono contrario al vaccino per il Covid e non vorrei mai essere obbligato a farlo per viaggiare», aveva detto Novak Djokovic. Uno che da bambino è sopravvissuto alle bombe nascondendosi nel seminterrato della casa della zia. Che è riuscito a mixare il pensiero occidentale con quello orientale. Che ha fatto dell’autocontrollo, dallo stile di vita all’alimentazione, un’ossessione raccontata anche nel suo libro, Il punto vincente.Ora sembra solo lo sciagurato incosciente che si è messo in testa di fare un torneo di beneficenza senza pensare ai rischi del virus. Il nemico invisibile.
All’Open di Croazia del 2006, Djokovic crollò a terra contro Wawrinka. «Mi sforzavo di inspirare, ma l’aria non mi arrivava ai polmoni». Quei sintomi gli fecero credere che il suo corpo fosse guasto, malandato, inabile. Il ragazzo precisino, che a sei anni sapeva già cosa mettere nella borsa d’allenamento, restò disorientato. Fino a quando un nutrizionista serbo, Igor Cetojevic (per nulla interessato al tennis) lo vide di nuovo schiantarsi a terra: era il 2010. Il dottore gli appoggiò una fetta di pane sullo stomaco, Djokovic avvertì una debolezza: il glutine era la sua kryptonite. Un bel guaio: i suoi genitori avevano una pizzeria a Kopaonik. Liberatosi dal fardello, la leggerezza di Nole ha avuto la meglio sugli altri due grandi rivali, Federer e Nadal, nonostante qualche intoppo sentimentale che è riuscito a far rientrare.
Per questo, adesso, l’errore di Djokovic è un paradosso. Lui, che nella scienza ha trovato la risposta al suo malessere e la strada per tornare numero 1 del mondo, prima s’oppone al vaccino, poi resta contagiato dopo un torneo organizzato proprio per raccogliere fondi, e nelle immagini della festa è quello che balla il limbo in mezzo alla folla senza prendere alcuna precauzione. Eppure Djokovic ha fatto un’importante donazione all’ospedale di Bergamo e regalato un milione di euro alla Serbia per fronteggiare l’emergenza: non aveva certo ignorato o sottovalutato il contagio e le sue conseguenze. E allora? Cosa, o chi, ha dunque fregato il tennista maniaco del controllo, uno che quando mangia non guarda tv e telefonino, che mastica lentamente perché «al corpo va dato un messaggio, siamo quello che mangiamo»? Forse c’entra la medicina orientale «che insegna ad allineare mente, corpo e anima. Mi trasmette emozioni ed energia, e io faccio il possibile per incontrare i tifosi». Ecco cosa cercava Nole: un bagno di folla rigenerante, per lui e per tutti. Stavolta la sua mindfulness, la sua meditazione consapevole, lo ha portato fuori strada. Perché la verità che Nole mai ammetterà è che c’è solo un avversario che ancora non è riuscito a battere (o gestire), ed è l’amore sconfinato che la gente ha per Federer.
Belgrado avrebbe dovuto infondere fiducia e gioia, nel progetto di Djokovic: mostrare al mondo la sua generosità, la voglia di amicizia che pervade l’uomo, «la mia arma segreta è l’amicizia. Vengo da un Paese distrutto dalla guerra, sono diventato quello che sono partendo da zero. Nessuno giocava a tennis eppure sono diventato il n. 1. Per questo cerco di essere umile». E per questo Nole, talmente attento ai dettagli da replicare i gesti dei suoi colleghi (che non hanno gradito le imitazioni), che parla un ottimo italiano ed è amico da tempo di Fiorello, non si capacita del perché i fan lo amino meno di quel che lui vorrebbe. Solo questo può spiegare questo autogol. Pardon, questo doppio fallo.