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 2020  giugno 23 Martedì calendario

Al-Sisi punta a diventare il generale del Medioriente

Con gli occhiali scuri, circondato dagli ufficiali dello stato maggiore, davanti a file infinite di carri armati Abrams, Abdel Fatah al-Sisi ha ripreso per un giorno il ruolo di comandante delle Forze armate che ricopriva prima di essere proiettato alla presidenza egiziana dal golpe del 2013. È sceso da un elicottero militare alla base aeronavale di Sidi Barrani, a pochi chilometri dal confine libico, e ha lanciato la sua sfida. L’Egitto, ha ammonito, ha il «diritto» di intervenire in Libia, se le forze del premier Fayez al-Sarraj, appoggiate dalla Turchia, oltrepasseranno la «linea rossa» di Sirte. Poi ha esortato i soldati a tenersi pronti a combattere «in patria e all’estero» e ha passato in rassegna il meglio messo a disposizione ai suoi generali in sette anni di acquisti forsennati. Caccia, elicotteri e tank americani, francesi, russi, italiani, blindati prodotti in casa o importati dagli Emirati, sottomarini tedeschi, mentre al largo incrociava una delle due portaelicotteri acquistate dalla Francia. Uno sfoggio di potenza che i media vicini alla Turchia hanno definito un «bluff», ma che gli analisti militari cominciano a prendere sul serio.
La forza reale
Le ambizioni regionali del Cairo, soprattutto in Libia, si basano su una forza reale. Il Global Firepower, l’indice che misura le capacità bellica di 137 Paesi al mondo, ha collocato quest’anno l’Egitto al nono posto, davanti alla Turchia, scesa all’11esimo, e a nazioni europee come l’Italia e la Germania. Questo vuol dire che le forze armate egiziane sono al vertice in Medio Oriente, prima di Iran, Arabia Saudita e Israele. Ad Al-Sisi ancora non basta. Il governo egiziano ha corteggiato a lungo anche l’Italia e adesso è a un passo dal concludere il contratto più succoso, che prevede l’acquisto di due fregate italiane Fremm, considerate le migliori al mondo, più altre quattro in opzione. Certo Al-Sisi deve ancora superare l’ostilità dell’opinione pubblica italiana, sconcertata dalla mancanza di giustizia a quattro anni e mezzo dall’uccisione di Giulio Regeni. Ma il muro di gomma non è crollato neppure davanti alla prospettiva di veder sfumare l’intesa e farsi sopravanzare dalla Marina turca, che l’anno prossimo lancerà la sua portaerei Anadolu.
Le fregate italiane sono le uniche disponibili chiavi in mano e l’Egitto ne ha bisogno subito se davvero vuole imbarcarsi in un’avventura libica, un mezzo di pressione importante a disposizione del nostro governo. Per il resto, è come un supermercato, e Al-Sisi pesca a man bassa dagli scaffali di mezzo mondo. Secondo il Stockholm International Peace Research Institute (Sipri) le importazioni di armi sono cresciute del 206 per cento dal 2009 al 2019. Il Cairo è diventato il terzo importatore mondiale, con un picco di 2,7 miliardi di dollari di acquisti nel 2018, mentre prima del 2013 la media era inferiore al miliardo, come ha confermato il Global Defence Trade Report. Un ritmo insostenibile per un Paese con un Pil di soli 280 miliardi, 2800 dollari per ciascuno dei 100 milioni di abitanti. Al-Sisi conta però sul sostegno pressoché illimitato di Emirati e Arabia Saudita. Le monarchie petrolifere hanno elargito un pacchetto di aiuti da 12,5 miliardi nel 2015, mentre fonti riservate hanno rivelato al quotidiano emiratino «Khalij» che i finanziamenti complessivi dal 2011 ammontano alla cifra sbalorditiva di 92 miliardi. Un Recovery Fund intra-arabo elargito senza guardare per il sottile a come vengono spesi i soldi.
Chi rifornisce il regime
Per il Golfo mantenere l’Egitto nell’alleanza anti-Turchia e anti Fratelli musulmani è troppo importante e nella partita si è inserita senza scrupoli la Francia, in Libia come negli armamenti. Già con François Hollande aveva concluso accordi per la vendita delle due portaelicotteri della classe Mistral, ribattezzate Ghamal Abdel al-Nasser e Anwar Sadat, una fregata Fremm, 24 cacciabombardieri Rafale. Emmanuel Macron non è stato da meno e ha aggiunto altri 12 Rafale, più armamenti vari, compresi missili cruise Mbda e persino software di spionaggio elettronico che vengono usati, secondo la denuncia di Ong occidentali, per controllare attivisti e oppositori. Dopo l’ultimo contratto da un miliardo, lo scorso dicembre, Macron ha risposto alle critiche, nel suo stile a volte un po’ rude, che non intendeva «dare lezioni di diritti umani» al suo partner. In questo modo Parigi è diventata il primo fornitore dell’Egitto, con consegne per 1,4 miliardi solo nel 2017, e ha superato gli Stati Uniti. Anche se Washington resta l’interlocutore principale. Fornisce aiuti per 1,4 miliardi all’anno, in gran parte spesi per mantenere efficiente la flotta di F-16, il nucleo più importante dell’aviazione egiziana. La spregiudicatezza di Al-Sisi ha finito però per irritare persino l’Amministrazione Trump, pure ferrea nel sostegno all’asse Paesi del Golfo-Egitto-Israele.
La Francia non ha obiettato quando nell’alleanza a sostegno del maresciallo Khalifa Haftar in Libia si è aggiunta la Russia, ma agli Stati Uniti la mossa non è andata giù. Parte degli aiuti militari sono stati congelati quando è emerso che nel 2015 Il Cairo aveva firmato un’intesa con Mosca per la fornitura di 24 cacciabombardieri Sukhoi Su-35 al prezzo di due miliardi di dollari. C’è da chiedersi perché Al-Sisi abbia voluto rischiare addirittura sanzioni Usa, in base al Countering America’s Adversaries Through Sanctions Act, una legge che punisce i Paesi che acquisiscono armi strategiche dalla Russia. L’Egitto però va avanti e primi esemplari di Su-35 sono già sulle linee di assemblaggio in Russia, nell’impianto Gagarin a Komsomolsk, Siberia orientale, in tempo per la consegna nei primi mesi del 2021. Gli esperti del settore sottolineano come Il Cairo voglia «diversificare» la sua flotta per non dipendere da un solo fornitore e «non avere le mani legate». Al-Sisi ha bisogno di superiorità aerea e i Sukhoi possono battersi alla pari, se non meglio, degli F-16, la spina dorsale anche dell’aviazione turca. L’Egitto considera ancora un’alternativa europea, e in particolare gli Eurofighter prodotti in Italia. Ma serviranno gesti molto più concreti sul caso Regeni, almeno un processo certo per i cinque indagati.