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 2020  giugno 23 Martedì calendario

Hanno diritto alla speranza anche i criminali

Le parole pesano sempre. Figurarsi se per la prima volta in bocca alla Cassazione che sottopone alla Consulta la possibile incostituzionalità delle norme che prevedono che un ergastolano per delitti di mafia o volti ad agevolare la mafia, pur avviato a un percorso di «sicuro ravvedimento», non possa essere ammesso alla «liberazione condizionale» (comunque dopo almeno 26 anni già espiati in carcere) qualora non abbia collaborato con la giustizia.
Per la prima volta, infatti, la Cassazione utilizza una espressione – «diritto alla speranza» – sinora abbozzata solo dalla dottrina, ad esempio dai professori Dolcini-Galliani-Pugiotto in una serie di studi del 2019 sull’ergastolo nel diritto penale costituzionale.
Preclusioni assolute alla liberazione condizionale – scrive ora la I sezione della Cassazione, presidente Antonella Mazzei e relatore Giuseppe Santalucia, nel mandare alla Corte Costituzionale il ricorso di un ergastolano duplice omicida contro il diniego oppostogli dal Tribunale dell’Aquila – sono «trattamento inumano e degradante soprattutto ove si evidenzino progressi del condannato verso la risocializzazione, perché in tal modo il detenuto viene privato del diritto alla speranza». Che, come ha messo in luce nel 2013 la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo nella sentenza «Vinter contro Regno Unito», «inerisce strettamente alla persona umana», sicché «anche gli individui responsabili dei crimini più odiosi conservano la loro umanità e quindi la possibilità di cambiare e di reinserirsi nella società aderendo al sistema di valori condiviso». Dunque, «se si impedisse a costoro di coltivare la speranza di un riscatto dall’esperienza criminale che li ha consegnati alla pena perpetua, si finirebbe col negare un aspetto fondamentale della loro umanità, si violerebbe il principio della dignità umana e quindi li si sottoporrebbe ad un trattamento degradante».