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 2020  giugno 22 Lunedì calendario

Da "Il buon governo. L’età dei doveri" di Sabino Cassese (Mondadori)

Sono le istituzioni che dettano le regole del gioco: disegnano l’organizzazione, distribuiscono compiti e responsabilità, dettano i tempi. Dalle istituzioni dipende il benessere di una società. Quando la Commissione europea fa raccomandazioni all’Italia (e ad altri Paesi) per stimolare lo sviluppo, aumentare la produttività e ridurre il debito pubblico, suggerisce modificazioni istituzionali, quali accelerazione delle procedure amministrative, minore durata dei processi, digitalizzazione.

L’attuale assetto istituzionale italiano presenta cinque caratteri peculiari, che sono emersi a pieno negli ultimi anni, ma sono andati sviluppandosi da qualche decennio.

Il primo è costituito dalla sostituzione delle decisioni fondate sulla forza del dibattito e della ragione con le decisioni fondate sulla forza dei numeri. Sono due processi di decisione radicalmente diversi. Il secondo si esaurisce in un atto di volontà, ad esempio, una votazione. Il primo, invece, fa perno sulla importanza del dialogo e della ragione deliberativa.

Questa modificazione dei modi di decisione si connette a tre fenomeni importanti: l’illusione della democrazia digitale, la fuga dai partiti e il declino della competenza.

Lo sviluppo della cultura digitale fa nascere domande del tipo: perché delegare e non votare direttamente? Perché contare su reti territoriali e non su reti digitali?

Il declino della membership partitica è legato alla perdita di importanza della politica come processo di formazione progressiva di orientamenti popolari diffusi, con la conseguenza che i partiti conservano solo il legame con lo Stato, rompendo quello con la società. L’assenza o insufficienza di offerta politica da parte dei partiti provoca una dispersione nella società, i cui membri preferiscono impegnarsi in attività alternative (la partecipazione sociale attiva è tre volte superiore a quella politica). Iato annunci-realizzazioni, inefficacia della politica, estraneazione dei cittadini, marginalità della politica, diminuzione del consenso per le istituzioni sembrano produrre una crisi strutturale di fiducia, minacciare le basi della democrazia (non rafforzata dalle democrazie locali o dal troppo modesto ricorso ad autorità parzialmente epistocratiche, come le autorità indipendenti), nutrire la richiesta della concentrazione del potere (l’«uomo forte»).

Della competenza non c’è bisogno, se basta affermare: il popolo mi ha votato. Infatti, il personale politico attuale è in larga misura entrato negli organi di decisione semplicemente sull’onda del successo di movimenti di protesta, senza precedenti esperienze di partecipazione ad attività della collettività.

Lo sviluppo della cultura digitale genera domande: perché delegare e non votare direttamente? Contare su reti territoriali e non digitali?

Il secondo tratto caratteristico dell’attuale situazione delle istituzioni italiane (ma in parte comune con quelle di altri Paesi) è costituito dalla tendenza a una nuova concentrazione di poteri al vertice. L’assetto ereditato dalla Costituzione era multipolare, affiancava scadenze diverse (9, 7, 5, 3 anni); a una democrazia centrale, democrazie locali; a organi a cambiamento totale e periodico (come il Parlamento) organi a modificazioni parziali e lente (come la Corte costituzionale). Quasi tutti gli organi avevano una legittimazione esclusivamente dal basso. Ora, la necessità di partecipare in «condomini» sovranazionali e globali e i nuovi mezzi di comunicazione conferiscono un sovrappiù di potere a chi sta al vertice.

Il terzo tratto peculiare consiste in uno svuotamento del Parlamento, divenuto organo di registrazione di decisioni prese altrove, talora neppure dal governo: l’iter che parte dalla approvazione governativa «salvo intese» di un decreto legge (cioè del titolo e della copertina del disegno di legge) e arriva alla conversione in legge con voto di fiducia (spesso su maxi-emendamenti governativi), costituisce procedura ormai normale.

Il quarto tratto caratteristico è costituito dalla prevalenza dei temi e problemi immediati ed urgenti su quelli importanti e strutturali, dal predominio della politica sulle politiche, degli schieramenti sugli orientamenti e sugli obiettivi. Quindi, c’è la tendenza a trattare le politiche pubbliche sempre sub specie del gioco politico generale, degli equilibri politici, facendo passare in secondo piano le singole decisioni e le tensioni che si formano intorno alle singole policies, che vengono sempre e solo ricondotte a fratture politiche più ampie e riconosciute.

Il quinto aspetto caratteristico è quello della mancanza di organi di correzione delle politiche governative. Della creazione del governo è regista il presidente della Repubblica. Ma poi il governo passa nelle mani del Parlamento, che dovrebbe tenerlo sotto controllo. Tra l’uno e l’altro organo, c’è però uno spazio vuoto, qualche volta occupato dal presidente della Repubblica (ad esempio, col rinvio di leggi, o con messaggi alle Camere, o con la moral suasion), qualche volta dal Parlamento (che è però nelle mani del governo stesso, perché questo è il comitato direttivo della maggioranza parlamentare), mentre gli apparati amministrativi possono svolgere solo un’azione di ritenzione o frenante.

Questi tratti caratteristici dell’assetto istituzionale, emersi o rafforzatisi di recente, presentano, accanto agli inconvenienti indicati, anche vantaggi. Decidere con la sola forza del numero consente di prendere decisioni più rapide ed è noto che uno dei mali prodotti dagli sviluppi contemporanei della democrazia è il rallentamento dei processi di decisione. La concentrazione dei poteri serve a partecipare al governo dell’Europa e del mondo e compensa il moto decentralizzatore che ha dominato l’ultimo cinquantennio. Lo svuotamento del Parlamento corrisponde a un moto di più lunga durata, segnalato già dai primi osservatori dell’organo, come Bagehot in Inghilterra. La preminenza data alla politica sulle politiche nel teatro nazionale è compensata dall’inversione dei ruoli a livello regionale e locale. L’assenza di organi di correzione vuol dire anche assenza di freni, e quindi possibilità di decidere più rapidamente.

I segni positivi del funzionamento dell’assetto istituzionale, d’altra parte, sono molti. La partecipazione elettorale alle votazioni politiche nazionali si mantiene alta e comunque non scende al di sotto della media degli altri Paesi sviluppati. Anche se la partecipazione politica attiva (ad esempio, partecipare a comizi o cortei) è calante, quella passiva (informarsi di politica) si mantiene alta, coinvolgendo due terzi della popolazione. La frattura tra i modi di formazione dell’opinione pubblica non impedisce la formazione di una arena comune, sia pur limitata. Periodicamente si affacciano nell’arena politica movimenti autenticamente popolari (dai Girotondi alle Sardine), spontanei, rappresentativi di una «base» sociale che vuol far registrare la sua presenza. Le istituzioni politiche hanno trovato molti modi per superare le lentezze di quelle amministrative.