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 2020  giugno 21 Domenica calendario

Lo stato della polizia

Quell’ordine politico che deve emergere, una volta che si sia posto fine alla hobbesiana «guerra di tutti contro tutti», bisogna pure che qualcuno/qualcosa lo costruisca e lo faccia rispettare. Anche se quel qualcuno fosse un leader tirannico, ma a maggior ragione se si affermasse una forma di governo basata su un accordo di fondo, sarebbe indispensabile disporre di una struttura capace di prevenire e impedire violazioni dell’ordine, di bloccarne i responsabili, di portarli a punizione. Mantenere l’ordine significa proteggere i cittadini, la loro vita e la loro libertà. È una delle modalità con cui lo Stato rivendica ed esercita il monopolio legittimo della forza (Max Weber). Quel monopolio è legittimo perché acquisito secondo regole prestabilite, ma anche se e perché è utilizzato, senza favori, senza privilegi, senza eccessi, nell’interesse di tutti. Tuttavia, c’è un’ambiguità costitutiva nella polizia come istituzione. Da un lato, ha il compito di proteggere i cittadini dalla violenza, anche quella dei rappresentanti dello Stato; dall’altro, deve proteggere lo Stato dalla violenza dei cittadini. Inoltre, una volta istituzionalizzata, la polizia può sviluppare propri interessi, più che un semplice «spirito di corpo», e finire, pericolo costante, per proteggere soprattutto sé stessa.

Storicamente, la struttura preposta al compito di garantire l’ordine all’interno di un sistema politico è stata definita polizia. È quasi certo che l’origine della parola debba essere fatta risalire ai termini greci polis e politeia (buongoverno). A lungo, in molti sistemi politici quel po’ di ordine che esisteva veniva in qualche modo «autogestito», oppure imposto da squadre di persone assoldate da chi poteva permetterselo, quindi dai proprietari terrieri, dai signori nei loro castelli, dai capitani d’industria. Naturalmente, oltre a operare al servizio di coloro che le avevano assoldate, queste squadre perseguivano anche interessi personali taglieggiando le popolazioni. La svolta, sicuramente per quel che riguarda l’Inghilterra, avvenne nel 1892 con la creazione di un corpo di professionisti, la Civilian Metropolitan Force, al quale fu affidato il compito di fare rispettare la legge. L’ideatore di questa soluzione fu l’allora ministro degli Interni, Sir Robert Peel, in seguito due volte primo ministro, cosicché gli appartenenti a questo corpo furono in un primo tempo chiamati Peelers; in seguito, più familiarmente, Bobbies. Gli oppositori obiettarono che quel corpo di professionisti che controllavano le strade e i comportamenti limitava le libertà personali. La replica di Peel fu che lasciare la possibilità di svaligiare le case non era libertà e non lo era neppure l’occupazione notturna delle strade di Londra ad opera di vagabondi e prostitute.
Per la loro professionalità (conoscenze e competenze), la loro efficienza e la loro (intraducibile, forse equità) fairness, i Bobbies divennero presto famosi e apprezzati come operatori nei quali tutti i cittadini potevano (e dovevano) avere una fiducia. Una loro grande peculiarità, durata fino a pochi anni fa e condivisa, per esempio, dalla polizia della Norvegia e della Nuova Zelanda, è che non erano dotati di armi. L’equipaggiamento dei Bobbies è a lungo consistito unicamente in uno sfollagente e un fischietto. I poliziotti inglesi non sparavano e i delinquenti non sparavano ai poliziotti inglesi.
Altrove, mantenere l’ordine politico senza ricorrere alle armi è sempre stato molto più difficile, anche perché la polizia era spesso un corpo estraneo. In Gran Bretagna, i Bobbies erano sostanzialmente poliziotti di quartiere, conosciuti, se non addirittura nati e vissuti nella zona, apprezzati dagli abitanti. Senza fare troppo romanticismo, a lungo questo elemento di vicinanza fisica e sociale si è tradotto in fiducia e ha reso più complicate e rare le azioni della microcriminalità: furti, borseggi, scassi. Nella grande maggioranza degli altri Paesi, le autorità hanno spesso preferito che i poliziotti non avessero legami sociali né, tanto meno, familiari con gli abitanti del quartiere. Dovevano essere e sentirsi separati da quella società, in nessun modo identificarvisi. Questo è stato sempre il caso delle polizie create dai Paesi colonialisti in Africa e Asia, ovviamente schierate a difesa dei dominatori e per la repressione di qualsiasi protesta e opposizione, anche quando composte, almeno in parte, proprio dagli abitanti delle colonie.
Una delle conseguenze inevitabili della separatezza fra cittadini e polizia è, naturalmente, che gli agenti incontrano molte difficoltà a capire usanze e comportamenti di comunità alle quali sono estranei, come i rari poliziotti settentrionali in Sicilia oppure quelli irlandesi in un quartiere italiano di Boston, quelli bianchi nel South Side di Chicago, i cui abitanti sono per più del 90 per cento afro-americani, gli inglesi in Irlanda del Nord. Nessuna familiarizzazione è possibile, ma appare improponibile anche qualsiasi rapporto di fiducia. In effetti, la polizia opera con maggiore successo quando riesce a godere della fiducia dei cittadini. Secondo un rapporto Eurispes del 2019 più del 70 per cento degli italiani dichiara di avere fiducia nelle forze di polizia.
Molto spesso, però, i poliziotti non appaiono un corpo neutrale che agisce a protezione dei cittadini, ma perlopiù come uno strumento per la difesa della proprietà e del potere delle classi dominanti. Una clamorosa e scandalosa dimostrazione di parzialità, di faziosità, persino di fanatismo politicizzato, si ebbe a Bolzaneto nel luglio 2001 con il crudele pestaggio ad opera di un consistente gruppo di poliziotti dei giovani più o meno antagonisti che avevano manifestato contro il G8 che si teneva a Genova. Negli Stati Uniti in troppi casi i comportamenti della polizia sono un prodotto della discriminazione, di un razzismo sistemico e strutturale. Tagliare i fondi alle varie polizie locali, come chiesto dal movimento Black Lives Matter, può paradossalmente servire a ridurne la pericolosità, ma la soluzione deve essere al tempo stesso strutturale in termini di reclutamento e selezione, e culturale, in quanto a insegnamento e apprendimento dell’eguaglianza effettiva dei diritti di tutti i cittadini.

In qualche caso, la priorità dei governi non va alla polizia che mantiene l’ordine e protegge i cittadini, ma a corpi più o meno speciali e segreti al servizio dei governanti. Sono le famigerate polizie segrete dalla Ceka bolscevica-stalinista, poi Kgb, alla Stasi della Germania Est, dall’Ovra del fascismo alla Gestapo di Hitler e alle polizie segrete di molti regimi autoritari, in Portogallo, in Spagna e in America Latina. Ma questa un’altra storia, che serve a illuminare quanto le deviazioni nell’uso delle polizie dipendano da coloro che hanno il potere di costituirle, reclutare, selezionare, promuovere il personale, destinare fondi alle operazioni. È probabile che un reclutamento più equilibrato in termini di appartenenza ai diversi gruppi sociali renda la polizia più prudente e più attenta a non violare i diritti di tutti i cittadini. Molto dipende dalla cultura politica e giuridica dei rispettivi Paesi, ma rimane sempre il pericolo, a prescindere dal regime nel quale è inserita, che, grazie ai mezzi a sua disposizione, la polizia finisca per ampliare i suoi poteri.
Guardando ai suoi comportamenti è possibile sostenere che ogni Paese ha la polizia che si merita.