la Repubblica, 21 giugno 2020
Pure il calciatore tiene famiglia
Tengono famiglia. E la famiglia tiene loro. Se i calciatori tacciono, parlano i parenti, velenosi come serpenti. Mordono gli allenatori, i tifosi e i presidenti. A volte fanno di testa loro, altre sono al servizio del ventriloquo che li imbocca. Vengono dopo un guaio, o lo provocano. La sorella di Cristiano Ronaldo, in arte Ronalda, è l’ultima in ordine di tempo. Segue la partita di calcio come una telecamera dedicata: punta solo sul fratello. Se Dybala sia un falso nueve o un tuttocampista non la riguarda; la posizione del fratello, eccome. Attacca Sarri, che ha già abbastanza problemi nell’interpretazione di Ronaldo, senza doversi occupare anche di Ronalda. La figura del “parente di”, in particolare del calciatore, è una categoria a rischio. Per sé e per gli altri. Lo psicanalista di Spalletti, se ne ha uno (e dovrebbe), ha già molti capitoli per un libro su casi clinici che vanno dalla moglie di T. («Spalletti è un piccolo uomo»), al padre di L. («Es un cagòn»). La signora Antonini accolse l’esonero al Milan dell’odiato Allegri con un equivocabile: «Finalmente godo anch’io».La fidanzata di Cerci twittò: «Addio serie A, andiamo nel calcio che conta» e partì con il compagno per la Spagna e lo sprofondo.
La regina della categoria è Wanda Nara in Icardi, non solo coniuge, perfino agente. Del calcio le è chiara una cosa: quanto deve guadagnare il marito. Per il resto, come opinionista ha avuto più da dire al Grande Fratello Vip. Nella prossima edizione, ma come concorrente, ci sarà Enock Barwuah, che sarebbe poi il fratello piccolo di Mario Balotelli. E con questo il cerchio è chiuso.
Per decenni la famiglia dei calciatori è rimasta nell’ombra, salvo il caso di figli d’arte (Maldini, Vieri) o fratelli senza parte (Hugo Maradona all’Ascoli o Antonio Donnarumma vice-vice di Gigio al Milan). Se intervenivano era sulla palla, non a gioco fermo. Ora esternano ovunque, in televisione o sui social. Essere il parente di qualcuno è un secondo lavoro, molto spesso un primo: gestirne la popolarità e la reputazione. Il più delle volte, guastandola. Quando il procuratore è uno di famiglia i problemi sono assicurati, anche perché di solito ha un solo assistito. È noto che hanno tutti paura della mamma di Rabiot, lui per primo.
La tentazione della luce riflessa e del guadagno derivato è irresistibile. La metafora è il quiz televisivo Soliti ignoti. Nel finale appare il “parente misterioso”. A questo tizio o tizia è concesso un quarto d’ora di fama in quanto familiare dell’ignoto numero 5 o 7 (va detto che, almeno, non parla). Il parente del noto non resiste. Si manifesta con entusiasmo ed esterna. Lo fa per affetto, anche verso se stesso.
Nell’universo contemporaneo esistono personaggi che incarnano il ruolo alla perfezione e con determinazione, maschere auto-esplicative: il papà di Di Battista, la sorella di Meghan, il figlio di Bossi. Il legame è indissolubile, lo si voglia o no. Basti ricordare il cantante Mino Reitano. Cominciò a cantare con i fratelli. Quando divenne solista si spartirono i ruoli intorno a lui, crebbero e si moltiplicarono. Si diceva che alla fine fossero 49. Venivano da Fiumara, ma lui costruì per loro il Villaggio Reitano in Brianza. Non si fa mai abbastanza per contraccambiare. Chiunque, specialmente se non l’ha avuto, ha desiderato un fratello. Avendolo, spesso desidera che il fratello fosse figlio unico, come cantava Rino Gaetano. Neppure così tuttavia riuscirebbe a trattenere le sue opinioni sul calcio: «Chinaglia non può passare al Frosinone».