Vecchia barzelletta, quella del Rossi, il tizio che va dal Papa e quando esce la foto sul giornale tutti si chiedono "chi è l’omino vestito di bianco accanto al Rossi?". Ricky Gianco è da 60 anni il Rossi italiano. Arriva da noi il rock e lui è nel clan Celentano.
Esplodono i cantautori ed è lì con Paoli, Endrigo, Tenco, Gaber, Jannacci. Poi il mondo va matto per i Beatles e lui li incontra. C’è il momento dell’impegno ed eccolo con Gianfranco Manfredi, a cantare — e irridere — il Movimento. Infine, per ora, il revival rock, che lui riscopre, ma coi Toto. Riccardo Sanna, come si chiama davvero, a 77 anni ne festeggia 60 di carriera in questi giorni, partendo dal 45 giri Distrattamente , in cui Enzo Jannacci dirige le musiche e suona il piano e Luigi Tenco al sax.
Il primo rock and roll italiano.
«Io dicevo io "ock’ n’oll". Non è che avessi la erre moscia: non l’avevo proprio. Tra i 15 e i 17 anni cantavo Pecipito, Ciao ti diò, che registrai in un appartamento col microfono che pendeva dal lampadario. A scuola di dizione cambiò tutto».
A "Distrattamente" come arrivò?
«Allora era più facile entrare in contatto con certa gente, si suonava con chiunque, per puro piacere. A Milano c’era sempre un buco per suonare e mischiare le euforie di boom e dopoguerra, vivevamo in un futuro continuo. Giampiero Reverberi mi portò alla Ricordi, trovai Jannacci e Tenco per il disco, ma anche Paoli ed Endrigo coi quali la sera uscivo e parlavo di politica: io avevo 17 anni e non ne sapevo nulla, loro erano comunisti, che all’epoca era tra l’imprecazione e la condanna. Ma si parlava anche di blues, Tenco ne era matto. E matto era Jannacci, una volta quasi mi uccise».
Prego?
«Poteva essere il 1962, eravamo in tour estivo ad Alassio coi Four Saints, band inglese il cui pianista riusciva a mangiare spaghetti suonando. Mi venne 39 di febbre. Enzo, già medico, mi curò mettendomi sotto tre trapunte di lana, sudavo come un cavallo, mi salvarono i miei».
A Gianco come arriva?
«Per varie tappe: Ricky Sann, Ricky Sanna, anche "Ricky e un altro", l’altro era Paoli che per motivi di esclusiva non poteva apparire, e incise con me Come un bambino , versione italiana di Je t’ appartiens di Gilbert Becaud. Gianco è un’idea di Celentano, mi telefonò alle 5 per comunicarmelo, lui che se lo chiamavi prima di mezzogiorno ti ricopriva d’insulti».
Ricordi del Clan?
«Un gruppo vero, artistico e umano, guidato da un genio. Negli alberghi ci cacciavano, tanto era il casino che facevamo. Certo, bisognava far quel che voleva lui: se decideva di giocare a stecca, tutti dietro, perdipiù perdeva perché era scarso. E quando girò un film ci portò tutti a Capri».
È vero che i melodici la sequestrarono?
«Al Cantagiro Adriano mi fece cantare Stai lontana da me . Claudio Villa, Luciano Tajoli e Teddy Reno si chiusero con me nel camerino, fecero un interrogatorio su chi avevamo corrotto per vincere. Invece stava solo cambiando il mondo: arrivava il rock. Finché fui cacciato dal Clan, non firmai un contratto che non mi piaceva».
Ha sempre fatto di testa sua, basti dire dei Beatles.
«Mi invitarono a Londra a un concerto: ragazze che lanciavano i reggiseni e svenivano. Piansi di emozione davanti alla Storia. John era enigmatico, geniale, Paul aperto e musicale. Mi chiesero di aprire i concerti del Vigorelli del 1965. Io, cretino, dissi di no per paura. Uno dei tanti errori della mia vita».
Ne ha fatti tanti?
«Su tutti, non aver continuato la causa contro Baglioni per il plagio di Questo piccolo grande amore . La perizia mi diede ragione, la sentenza no, in appello avrei vinto».
Accuse di plagio ne hanno fatte anche a lei: "Pugni chiusi" non è sua, "Pietre" è presa da Dylan.
«Pugni chiusi la firmai io perché Gianni Dall’Aglio era minorenne. Gli riconobbi la paternità quando me lo chiese, decenni dopo. Per Pietre chiedemmo agli avvocati di Dylan perché somigliava a Rainy day women : ci rassicurarono, dissero che riprendeva una marcia tradizionale di New Orleans. Pietre era divertente: la feci cantare ad Antoine a Sanremo. Aveva le parole su un foglietto che perse subito, improvvisò, ballò sul palco, venne ripescato in finale e vendette milioni di copie».
Poi seguì l’impegno sociale con Gianfranco Manfredi.
«Ma eravamo troppo movimentisti. Canzoni come Compagno sì, compagno no, compagno un caz creavano problemi alle Feste dell’Unità perché il Pci trattava con la Dc. Di recente siamo tornati a scrivere qualcosa, Un disco non ha senso ora. Ma almeno ci sentiamo vivi».