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 2020  giugno 21 Domenica calendario

Consigli di sopravvivenza per Sapiens

Nel corso degli ultimi anni Corrado Augias ci ha abituati a una tecnica di lettura e interpretazione che risale agilmente dal particolare al generale, dall’osservazione attenta e minuziosa delle cose alle grandi questioni, del passato e attuali, ideologiche, politiche, religiose. Basti pensare alla rubrica di ascolto delle domande e questioni che tiene quotidianamente su questo giornale: non c’è una volta in cui l’Ascoltatore non parta dalla domanda postagli per giungere attraverso rapidi allargamenti e scale di riferimenti a una conclusione, talvolta un consiglio, di ordine generale. Naturalmente nei libri tale procedura mentale si allarga e si sistematizza, senza perdere però mai questa carica originaria, che deriva secondo me dall’attenzione minuziosa, perfino parcellare, alle cose e ai problemi da cui l’Autore è toccato... È toccato in vece nostra, e al nostro posto si sostituisce per consentire anche a noi di parlare e di dialogare. A questo tipo di attenzione e di procedure fa capo, secondo me, lo sguardo spesso rivolto – più e più volte autodefinitosi, per evitare equivoci, ateo – ai problemi religiosi. Ricorderò semplicemente l’ultimo libro di lui apparso prima di quello di cui intendiamo qui occuparci, e cioè Il grande romanzo dei Vangeli (Einaudi 2019), sorta di dialogo d’incalzante attualità con Giovanni Filoramo, una vera autorità nella conoscenza delle sacre scritture.
Nei libri la procedura mentale e interpretativa di cui Augias è portatore si allarga e si sistematizza: lo abbiamo già detto. Ma io mi azzarderei a dire che questo non era mai avvenuto finora con tanta chiarezza e... sistematicità come nel libro (saggistico? storico? personale e addirittura autobiografico?), che appare in questi giorni: Breviario per un confuso presente (Einaudi). In che senso? Mi sembra che la risposta stia nel titolo prima che nel testo: un “breviario” non è semplicemente un saggio o una collezione di risposte. Ma, nella più volte conclamata modestia dell’impresa, un insieme di suggerimenti atti a tenere, a farci tenere, comportamenti adeguati alla situazione, che è da tutti i punti di vista eccezionale. Questa è la premessa. Noi «ci troviamo al confine tra due popoli o due epoche o due mondi» (pag. 3). Il riferimento esplicito in questo punto al discorso di Francesco Petrarca di sette secoli fa precisa il senso drammatico di questo mutamento. Cioè: «Viviamo anni rivoluzionari» (pag. 4), in cui la cancellazione di certezze, abitudini, presunte consapevolezze viene precipitosa e irresistibile. «I barbari sono arrivati», scrive Augias: chi avesse consuetudine con i testi e le valutazioni di Niccolò Machiavelli saprebbe di cosa si sta parlando.
È questo il terreno con il quale qualsiasi intrapresa pratica o intellettuale deve misurarsi. Se le cose stanno così, ed è difficile negare che non stiano così, Augias pone il problema di fondo quando scrive: «Dovendoci attrezzare per sopravvivere in quanto Sapiens, è utile conservare quanto più si possa di un sapere che contiene insegnamenti fondamentali quale che sia il tipo di comunicazione e di convivenza che nel prossimo futuro ci aspetta...» (pagg. 5-6). Ossia: «La memoria del passato serve a mettere i fatti in prospettiva, tracciare un percorso, individuare le cause e i loro effetti, fornire, quando è possibile,un punto d’orientamento...» (pag. 8). Non si potrebbe esser più chiari di così.
La mia tesi è che il Breviario è una lunga carrellata dal passato al presente (dall’inizio del Risorgimento ai nostri giorni, grosso modo, con qualche incursione in un passato anche più lontano) nel quale, con prevalente ma non esclusivo riferimento alla storia italiana, si risale via via dal particolare al generale e poi se ne ridiscende dal generale al particolare, fino a comporre un quadro dal quale chi lo volesse potrebbe anche ricavare criteri per l’azione, intellettuale e pratica, politica. Per motivi di spazio posso fare qui un solo esempio. Nei capitoli IX, “L’ora di religione”, e X, “Una moralità senza fede e viceversa”, Augias studia con grande rispetto vari aspetti della religiosità in Italia, un paese dove la religione di Roma ha coinciso per secoli con un potere temporale assoluto, non privo di aspetti violenti e sopraffattori. In che senso queste ombre del passato si allungano ancora sul nostro presente? Nel senso che la dissociazione, auspicabile anche da un laico, tra fede e potere ancora non si è compiuta (nonostante Francesco): sicché questa scissione rimbalza da un interlocutore all’altro, determinando spesso, ancora, corti circuiti e gravi incomprensioni. La “doppiezza” italiana, cui nel libro si dedicano diversi illuminanti capitoli, ha molto a che fare anche (non solo) con questo passato: sicché non risulta inverosimile quello che altrove sarebbe impensabile, e cioè che gli italiani diano «il meglio di sé nelle situazioni peggiori» (pag. 17).
I capitoli del Breviario sono ventotto: bisogna leggerseli tutti, uno dietro l’altro, per avere un’idea della ricchezza dell’esposizione. Io corro verso la fine, anche perché lì ci sono elementi di grande novità rispetto al frammentismo sistematico di Corrado Augias. Mi limito ad accennarne solo alcuni. Capitolo XXVII, “Que sais-je?”. Augias mette le carte in tavola. Gli autori che cita in conclusione del suo Breviario, e che verosimilmente dobbiamo pensare siano i “domini” del suo pensiero e della sua ricerca, sono Michel de Montaigne, dal cui motto forse più famoso viene ripreso il titolo di questo capitolo, il suo sodale Etienne de La Boétie, e, sullo sfondo, un vigile Spinoza. È quasi il catalogo esatto delle divinità tutelari del giornale la Repubblica: basterebbe chiedere lumi al suo fondatore Eugenio Scalfari per averne una clamorosa conferma (talvolta chi ha osato spingersi fino a Marx e Nietzsche si sente un po’ a disagio...). Ma tutto ciò precipita nell’ultimo capitolo, XXVIII, “The rest is silence”, in una inaspettata e decisiva riflessione sulla morte. Sì, è così, in fondo basta pensarci. E però, per esser chiari fino in fondo: «Il mondo del XXI secolo, così veloce, dinamico, pronto a grandi cambiamenti improvvisi, tende in genere a nascondere la morte» (pag. 179). E però lì, nonostante dubbi, incertezze, angosce, cambiamenti di rotta, si cela l’unica consapevolezza seria alla quale possiamo in qualsiasi momento fare riferimento: «... abbiamo passato traversie, subìto (o commesso) ingiustizie, alternato la gioia alla malinconia, tutto è passato, nulla più ci attende» (pag. 184).
Io sono nato quattordici mesi prima di Augias. Leggo: «So che nel momento della morte tornerò al nulla dal quale sono arrivato». È come dire che la dinamica della conoscenza si illumina alla fine dall’estrema consapevolezza dei suoi limiti: se lo sappiamo, sappiamo di più e meglio. Condivido totalmente.