La Stampa, 21 giugno 2020
Zaia: «Non voglio né la Lega né Palazzo Chigi»
In pratica, sono chiuso nell’Unità di crisi della regione da centoventi giorni». Ma evidentemente il lockdown funziona anche dal punto di vista politico, non solo da quello sanitario. Luca Zaia, presidente leghista del Veneto, è in testa a tutti i sondaggi, anche a quelli nazionali. E in autunno la campagna elettorale per il terzo mandato sarà poco più che una formalità.
Zaia, il Veneto è fuori dall’emergenza?
«Finché non ci rientra. I numeri sono confortanti, ma non bisogna abbassare la guardia».
Lezioni da trarre dall’esperienza?
«Soprattutto che ci vuole umiltà, sia da parte degli scienziati che dei politici. Il nemico è terribile».
Come dovrà cambiare la sanità pubblica?
«Ci vorranno più risorse e più apertura mentale. Come ogni sistema, anche a quello sanitario va fatto il tagliando. E, se necessario, va modificato. Una volta per operare un’ernia inguinale di voleva una settimana di degenza in ospedale. Oggi bastano quatto ore. E poi ormai ogni cittadino ha in tasca un telefonino che presto gli dirà anche quanto ha di colesterolo. Arrivano la telemedicina e i robot chirurgici. Noi abbiamo già eliminato la ricetta di carta: il paziente va direttamente in farmacia con quella digitale ricevuta per mail».
Innovare costa, però. Perché la Lega è contro il Mes?
«Da quanti mesi si parla del Mes o del Recovery fund? Però ancora non sono stati adottati. Conte dice che passerà per la via parlamentare. Benissimo, ma così viene da pensare che le condizioni non siano né così chiare né così vantaggiose come si dice. Io, in ogni caso, non le ho ancora capite».
Se lei fosse Conte direbbe di no a 37 miliardi di euro a interessi bassissimi?
«Se fossi Conte avrei intanto fatto chiarezza sulle modalità del prestito. Se sono così buone, cosa aspetta? Credo che abbia ragione la Lega a dire che così buone non sono».
Che effetto le fa il mirabolante gradimento di cui gode?
«Stento a credergli, perché ha dei sondaggi buoni anche Conte e proprio non capisco come sia possibile. Finita l’emergenza Coronavirus, torneremo alla normalità e vedremo chi piace davvero alla gente. I sondaggi sono come "Il sabato del villaggio" di Leopardi"».
Cioè?
«L’attesa della festa è sempre meglio della festa. E poi se le cose ti fanno bene c’è sempre qualche frustrato che ti vuole male. Non c’è niente di peggio che essere vittime dell’invidia».
Intanto, sembra che il Veneto le stia stretto.
«Allora, visto che non solo la donzelletta di Leopardi ma anch’io vengo dalla campagna, lo dico chiaro e tondo, così tranquillizzo tutti: non voglio dare la scalata né al mio partito né a Palazzo Chigi».
Il suo segretario Salvini non ha fatto una gran figura abbuffandosi di ciliegie mentre lei in conferenza stampa parlava di bambini morti.
«Ancora questa storia? Gli avevo raccontato nei dettagli la tragedia prima della conferenza stampa ed era molto colpito. Dire che è insensibile è esagerato».
Eppure sui social lo hanno fatto in moltissimi.
«Una montatura. La macchina della comunicazione esagera sempre. Per questo cerco di tenere un profilo basso ed evitare la sovraesposizione mediatica».
Però oggettivamente il suo Veneto ha fatto meglio di altre regioni.
«Intende la Lombardia? E allora rispondo che fare paragoni è assurdo. Per due ragioni. La prima è che i modelli sanitari e territoriali sono diversissimi e l’epicentro dell’epidemia è toccato alla Lombardia. La seconda è che di questo virus sappiamo ancora troppo poco. Io ho sudato freddo quando si è scoperto un focolaio con 70-80 contagiati in centro a Venezia, però è sparito in pratica da solo. Perché? Se qualcuno sa spiegarmelo, merita il Nobel».
Chi l’ha delusa di più, nell’emergenza?
«La comunità scientifica. Ha detto tutto e il suo contrario. Quando è arrivato il virus dalla Cina ci hanno messo in mano la macchina sanitaria senza darci il libretto delle istruzioni. Quando ho deciso di fare tremila tamponi a Vo ho dovuto farlo sotto la mia responsabilità e contro la legge. Per fortuna è stata la decisione giusta".
Politicamente, chi esce sconfitto?
«L’Europa. Ha brillato solo per menefreghismo e pressapochismo. Non è stata nemmeno capace di coordinare la riapertura delle frontiere. Io sono un europeista convinto da sempre, ma un’Europa così è da rifare».
Chi ha vinto, invece?
«Le regioni. In pochi mesi siamo passati da "le regioni bisogna chiuderle" a "i governatori sono i salvatori della Patria". Esagerazioni entrambe. Però i padri costituenti hanno avuto ragione ad affidare la sanità alle regioni. Se l’emergenza fosse stata gestita tutta da Roma, la strage sarebbe stata anche peggiore. La lezione è che lo Stato funziona se è federale e se le regioni hanno l’autonomia. Per questo continuerò a battermi per una maggiore autonomia. È la partita decisiva e non è affatto chiusa».
Quindi si ricandida alla regione?
«Ma se non c’è nemmeno la data delle elezioni!».
Perché il governo non la fissa?
«È bloccato fra due interessi contraddittori. Da una parte, chi chiede tempo per fare campagna. Dall’altra, chi è in calo di consensi e pensa che sarebbe meglio non votare proprio più. Una violazione del contratto sociale di Rousseau. Intitolargli le piattaforme in rete non basta, bisognerebbe anche leggerlo».