Il Messaggero, 20 giugno 2020
Corte suprema anti Trump, c’è la fronda repubblicana
«Decisioni orribili e politicamente sbilanciate». «Pallettoni sparati in faccia a chi è orgoglioso di chiamarsi repubblicano o conservatore». Donald Trump ha scritto parole durissime contro i giudici di Corte Suprema che nel giro di cinque giorni hanno assegnato colpi altrettanto micidiali su due fronti per lui cruciali nella campagna elettorale: la difesa delle prerogative religiose, e l’immigrazione. I togati che hanno espresso i voti decisivi nei due casi sono entrambi stati nominati da presidenti repubblicani. Di tendenza conservatrice è il capo della consulta: John Roberts Jr, proposto da George W. Bush nel 2005. Ancora più schierato sulle stesse posizioni è Neil Gorsuch, il primo dei due giudici supremi che lo stesso Trump ha scelto nel suo primo anno di presidenza. È possibile che sia in corso un ammutinamento all’interno del massimo organo di giustizia contro il primo cittadino degli Usa?
PARERI
Il primo dei due pareri espressi dalla Corte Suprema è in realtà una vittoria incidentale per la causa dei lgbtq, i quali sono stati equiparati agli eterosessuali nella difesa del posto di lavoro contro ogni discriminazione sessuale. Gorsuch e Roberts si sono semplicemente attenuti alla legge, seguendola alla lettera secondo il principio conservatore che tende a fossilizzare le norme, piuttosto che adeguarle allo sviluppo della vita reale. Questa volta l’aderenza letterale dei termini ha favorito una istanza progressista, ma nella gran parte dei casi viene usata per affossarle. Il secondo caso esaminato dalla consulta ha invece un risvolto politico. I cinque giudici che hanno composto la maggioranza, non hanno bocciato l’idea che Trump possa cancellare la protezione accordata da Obama ai figli degli immigrati clandestini. Hanno più semplicemente giudicato che la procedura usata dal presidente è stata troppo sbrigativa, e per questo l’hanno dichiarata illegale. Trump potrà provare a ripresentarla, e infatti ieri ha già scritto che lo farà, anche se i tempi tecnici per il nuovo decreto potrebbero rinviare l’iniziativa al dopo elezioni.
È emerso però nel dibattito della consulta l’insofferenza, in particolare del presidente Roberts, per l’irruenza del presidente. Non è certo l’unico rapporto difficile per Trump. Nelle scorse settimane abbiamo visto aggravarsi le frizioni che hanno caratterizzato l’intero primo mandato tra la Casa Bianca e il Pentagono, e in diverse occasioni negli ultimi quattro anni sono emerse asperità con il ministero della Giustizia.
LA FRONDA
Dietro questo fronte c’è poi anche una fronda politica interna al partito repubblicano, la cui dirigenza non ha mai digerito la discesa in campo politico dell’imprenditore newoyrkese, e che rischia di prendere voce ad ogni passo falso. In questo senso le decisioni della Corte Suprema, consapevolmente o meno, hanno creato nuovi ostacoli per il presidente sulla strada del voto di novembre. La chiesa conservatrice è stata spogliata dell’ultimo strumento a disposizione per continuare a combatter l’idea di una pluralità dei generi sessuali: il diritto di rifiutare l’impiego nelle strutture religiose ai lgtbq, e di licenziarli una volta scoperti. E chi tra i suoi sostenitori si aspettava la deportazione in massa dei clandestini, deve ora fare i conti con il fallimento di una delle prime promesse fatte dal presidente nel 2015: la chiusura del programma Daca che protegge i dreamers. A quattro mesi dal voto, le due sconfitte aprono una falla difficile da riparare.