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 2020  giugno 20 Sabato calendario

Statali, a casa sette su dieci

Stavolta il generale si chiama estate. E sembra un nemico molto temibile. Per i dipendenti pubblici la scadenza dello smart working, sempre che di vero smart working si sia trattato e alla fine vedremo che non è andata così, è fissata al 31 luglio. Questo vuol dire che il primo agosto 3 milioni di dipendenti pubblici dovrebbero dimenticare Meet e i suoi fratelli e ripresentarsi fisicamente in ufficio. Al netto delle ferie, certo. Considerando i turni, ovvio. Ma comunque la fine della vita da remoto, e la ripresa di quella in carne e ossa, arriverebbe nel pieno dell’estate. Possibile? E, soprattutto, sensato? La scadenza del 31 luglio potrebbe essere rinviata. Ma l’operazione è delicata, basta pensare alla lunga scia della polemica innescata da Pietro Ichino sullo smart working come vacanza pagata. E poi c’è il rischio che un periodo troppo lungo trascorso lontano dall’ufficio, dai suoi riti e dalla sue rete di relazioni sociali, si trasformi per molti lavoratori in un vicolo buio. Marginalizzazione dall’alto o imboscamento dal basso, a seconda dei punti di vista. Con l’aggravante, al momento nessuno può escluderla, che in autunno il virus riprenda forza e si torni alla modalità da remoto. A quel punto il vicolo si trasformerebbe da buio in cieco. E per questo si è deciso di procedere a un ritorno in ufficio per gradi.


Il ritorno
Nella fase più severa del lockdown i dipendenti pubblici che lavorano in presenza erano uno su dieci. Attenzione, però. Perché anche in questo caso vale la regola del pollo di Trilussa. Ad alzare la media erano medici, infermieri e forze dell’ordine. Loro erano praticamente tutti in presenza, oltre che più esposti al rischio contagio. Tutti gli altri erano stati messi a casa, dall’oggi al domani, con i mezzi che avevano. Ora i dipendenti pubblici che lavorano in presenza sono diventati tre su dieci. Entro la fine di luglio dovrebbero arrivare a quattro su dieci. Banca d’Italia, ad esempio, ha chiesto ai capi e vice di rientrare dal primo di luglio, per organizzare il rientro di tutti a settembre.


E i servizi?
Il lavoro da remoto ha avuto molti effetti sui servizi forniti ai cittadini. Effetti che si sentono ancora in questa fase di riapertura a singhiozzo. I Pra, i Pubblici registri automobilistici, dove si fanno i passaggi di proprietà delle macchine, sono ancora adesso un imbuto. I 5 appuntamenti al giorno della sede di Milano sono finiti addirittura su Striscia la notizia. Pochi giorni fa il ministero della Giustizia ha mandato una circolare a tutti i tribunali per chiedere una «più decisa riapertura delle attività amministrative e giudiziarie». Era rivolta ai cancellieri. Era stato chiesto loro di rientrare prima del 31 luglio ma con scarsi risultati. Anche perché cause e processi, essenzialmente in via digitale, sono ripartite l’11 maggio ma la macchina non gira ancora del tutto. Per non parlare della scuola dove la didattica a distanza ha funzionato molto bene in alcuni casi, cosi così in altri. Mentre per alcuni ragazzi si è limitata a dei grandi compiti da fare in splendida solitudine. Dando di meno proprio a quegli studenti che avevano bisogno di più. Non è stato l’unico paradosso. Come spiega Isabella Mori di Cittadinanzattiva «lo smart working può restare anche dopo la pandemia ma a patto che ci sia uno scatto sulla digitalizzazione. Altrimenti a pagarne le conseguenza saranno i cittadini». Gli esempi non mancano: «Non è possibile che chi prende la cassa integrazione riceva una lettera a casa e poi debba andare alle Poste. Non è pensabile che lo Spid, l’identità digitale, funzioni solo per alcune amministrazioni mentre altre usano la loro».


I casi limite
I dipendenti pubblici che non erano in grado di lavorare da remoto, perché hanno dichiarato di non avere un computer o una connessione, potevano essere esonerati dal servizio. Quanti sono stati? Una risposta precisa arriverà dal monitoraggio del ministero della Funzione pubblica. Al momento sono noti solo pochi dati spot, come i 19 su 10 mila al ministero dell’Economia e lo zero tondo della presidenza del Consiglio. In realtà lo smart working ha finito per allargare una forbice che c’era già. Chi prima del lockdown lavorava tanto, ha finito per lavorare ancora di più, senza limiti di orario, senza una vera distinzione tra vita d’ufficio e vita in famiglia, che sarà anche una roba antiquata ma insomma un po’ è anche sana. Chi nella vita precedente lavorava poco, ha finito per farlo ancora di meno. Se per furbizia personale o perché dimenticato dagli altri, dipende dai singoli casi. Ma il pendolo dello smart working va da un estremo all’altro. Checco Zalone non è nulla davanti al portiere di un ente pubblico a Roma che pretende tuttora di fare smart working e per questo chiede di pagare un corriere che gli porti a casa la posta da smistare. Ma ci sono esempi opposti, anche senza arrivare ai medici e agli infermieri di cui giustamente si è parlato tanto. Può sembrare strano viste le polemiche di questi giorni sui ritardi della cassa integrazione. E invece è indicativo. Molti dipendenti dell’Inps che normalmente si occupano di altro sono stati dirottati proprio sulle pratiche per la cassa. Senza lasciare il loro lavoro d’origine, che hanno finito per fare ben al di fuori del normale orario d’ufficio. Non eroi, gli eroi sono altri. Ma hanno fatto la loro parte.


Fu vero smart?
Può sembrare un ragionamento che smonta tutto quello che abbiamo detto finora. E invece serve per mettere davvero a fuoco la questione. A parlare è Sebastiano Fadda, presidente dell’Inapp, l’Istituto per l’analisi delle politiche pubbliche: «Nutro molti dubbi che in occasione della pandemia si siano realizzate molte esperienze di smart working». Perché? «Per diventare intelligente, non basta che il lavoro venga svolto da casa. Deve invece diventare il riflesso di un nuovo modo di gestire i processi produttivi» Ma allora cosa è successo in questi 100 giorni? «Abbiamo avuto un aumento del telelavoro, un forzato aumento da casa delle stesse mansioni di solito svolte in presenza». E questo ha provocato qualche vantaggio in termini di diminuzione dell’inquinamento e di conciliazione tra famiglia e lavoro. Ma anche molti svantaggi: «Allungamento dei tempi delle decisioni, frequente straripamento degli orari di lavoro, raffreddamento delle relazioni interpersonali». A conti fatti, e alla lunga, più che una vacanza un incubo.