Corriere della Sera, 20 giugno 2020
Così Zanardi rinacque e vinse
Era convinto, eravamo convinti proprio tutti che ogni conto fosse saldato. Sette arresti cardiaci, estrema unzione impartita, gambe amputate dopo quell’incidente al Lausitzring del 15 settembre 2001 che fa male ancora adesso. Aveva in corpo meno di un litro di sangue. Abbastanza per farne tesoro, per farlo scorrere, trasformarlo in una benzina solo sua. Alessandro Zanardi: così sempre. Una forza della natura, uno spettacolo di umanità. Battuto? Ma va là. Vispo e pronto, poche ore dopo essere uscito dal coma, da una operazione che avrebbe rivoltato la sua vita, a studiare le protesi, a immaginare come fare, come continuare a camminare, a correre, a gustare ogni attimo di vita perché vivere, come ripete sempre, è una meraviglia. Fatica: sempre. Con un coach formidabile al suo fianco. Daniela, sua moglie, tanto tosta quanto riservata, una compagna di vita decisiva, razionale, ironica. Capace di mostrargli il bello e il verso di ogni salita.
Forse, la sua energia viene proprio dalle sofferenze. Da ciò che la fatica, appunto, restituisce. Perse la sorella Cristina, vittima di un incidente stradale; nel 1993, quando passò alla Lotus dopo due anni grami in F1 andò a sbattere all’uscita dell’Eau Rouge, Spa, con una violenza spaventosa. Si riprese in fretta ovviamente, disposto a guidare di nuovo e a sorridere di se stesso con i capillari degli occhi saltati. Uno sguardo, una espressione da film dell’orrore. Perse il posto perché anche nelle corse, se inciampi, è difficile che qualcuno ti aspetti. Il fatto è che Zanardi, fermarlo non puoi, non sa proprio come fare. Reagisce, tira dritto. Andò in America, trovò il modo, il ritmo, il solito cuore. Un sorpasso al «Cavatappi» di Laguna Seca, da esordiente nel 1996 che è un poster definitivo, fa il paio con quello di Valentino, stesso posto. Un guizzo dell’azzardo sublime. Come Gilles e Arnoux a Digione, 1979; come Senna e Mansell in Spagna, 1991.
Due titoli filati di Formula Indy (1997 e’98) e un rientro in F1 amarissimo, dentro un 1999 annodato in casa Williams. Fu un errore tornare dove non aveva funzionato; era carico di nuovo quando decise quel bis da campionato Cart del 2001 che gli costò un incontro ravvicinato con la morte. Ne uscì con una voglia di vivere strepitosa. Forza di braccia, forza mentale. Handbike. Il bilancio gronda medaglie olimpiche e mondiali. Soprattutto ha offerto a migliaia di ragazzi e ragazze feriti un bellissimo esempio, un invito irresistibile a non rinunciare. Parla Alex, e sa farlo. Mostra. Dimostra. Lavora, sta ore nel suo capanno officina, fa e disfa con le protesi, senza protesi, senza metterla giù dura un solo istante. E quando ti incontra, si alza in piedi, come se gli costasse zero, come fa una persona che conosce il valore del rispetto. Per se stessi e, dunque, per ogni essere umano. Sì, una persona preziosa. Per chi ogni giorno trascura il valore di una opportunità scontata. Per chi pensa di aver perduto ogni piccola, preziosa, opportunità.