Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  giugno 20 Sabato calendario

Il paese che rifiuta i concorsi

Come vengono scelti, in Italia, i funzionari pubblici? E come sono valutati e promossi? Come fanno carriera? La Costituzione dà una risposta sintetica ma chiara a queste domande, con la parola «concorso», che vuol dire competizione aperta a tutti e gara perché vengano scelti i migliori. Quindi, eguaglianza e merito. La competizione serve a consentire un accesso a tutti i cittadini; la verifica a scegliere chi si dimostra più competente, capace ed esperto.
Sulla norma costituzionale si è esercitata più volte la Corte costituzionale. Ha stabilito, ad esempio, che il conferimento di incarichi dirigenziali pubblici deve avvenire previo esperimento di concorso pubblico e che il concorso è necessario anche nei casi di nuovo inquadramento dei dipendenti già in servizio per l’accesso a funzioni più elevate.
Ma le agenzie fiscali non la pensano nello stesso modo. Per sottrarsi al chiaro dettato costituzionale e a una sentenza del 2015 della Corte costituzionale, hanno cambiato nome ai dirigenti, chiamandoli «Posizioni organizzative di elevata responsabilità» (Poer), e quindi stabilito che a quelle posizioni si accede solo dall’interno. I compiti sono gli stessi, cambia il nome. «Ego te baptizo piscem» era la formula liturgica per aggirare nei conventi medievali la regola dell’astinenza dalle carni il venerdì. Maestri nell’invenzione linguistica, i dirigenti delle agenzie fiscali, aiutati dal legislatore, non hanno trasformato la carne in pesce, ma «titolarizzato» circa 1.500 dipendenti, sfuggendo sia alla Costituzione, sia a una sentenza della Corte costituzionale.
Ma la Corte costituzionale, l’organo che avrebbe dovuto stabilire che era carne e non pesce, con una sentenza dei giorni scorsi ha dato credito al cambiamento di nome e quindi ha ceduto anch’essa al corporativismo degli agenti del fisco.
Accettando la tesi di questi ultimi, la Corte costituzionale ha commesso molti errori. Ha tradito diritti e aspettative di molte persone che avrebbero potuto aspirare ad accedere a quegli uffici, se vi fosse stato un esame competitivo aperto a tutti. Ha danneggiato la pubblica amministrazione, perché l’ha privata della possibilità di fare eventuali scelte migliori. Ha riconosciuto un privilegio a chi era già dentro (che si sarebbe potuto accontentare di una valutazione dell’attività già svolta o anche di una riserva di posti). Ha ammesso una sorta di extraterritorialità alle agenzie fiscali, come se ad esse potessero non applicarsi la Costituzione e il diritto italiano, ma un diritto speciale. Ha così impedito quella mobilità tra le varie branche dell’amministrazione che tutti auspicano come necessaria per il migliore funzionamento dello Stato. Ha tradito la propria consolidata giurisprudenza, accettando una palese violazione del giudicato, rinunciando al proprio magistero, così rischiando di divenire una tigre di carta.
Ciò che è peggio, il cattivo esempio è stato subito seguito, perché l’Agenzia per la rappresentanza negoziale della pubblica amministrazione (Aran) ha subito proposto di istituire nuove figure ad alta professionalità, cioè dirigenti mascherati, simili ai Poer. Se a questi si aggiungono i supplenti che vogliono passare nei ruoli senza concorso, i funzionari che vogliono divenire dirigenti per anzianità, e domani i ricercatori universitari che vorranno divenire professori associati e poi ordinari senza un vaglio di capacità, conoscenze, esperienze, e senza passare attraverso un concorso aperto a tutti, si può immaginare i danni che ne verranno per lo Stato.
Tutti lamentano in queste settimane le inefficienze della burocrazia. Tutti auspicano che il Paese venga «sburocratizzato». Uno dei modi per dotarci di una migliore amministrazione è quello di ampliare la scelta, vagliare le qualità, rispettare il merito, premiare i migliori, in una parola fare concorsi.