la Repubblica, 20 giugno 2020
La grande truffa Embraco
Cinque auto di lusso, comprate nell’arco di dieci giorni nell’estate del 2018. È quel che resta del grande bluff dell’ex Embraco, la fabbrica di elettrodomestici torinese che doveva essere salvata da una start up familiare spuntata dal nulla, quando la multinazionale Whirlpool decise di trasferire la produzione in Slovacchia. Dodici milioni di euro per tenere in vita lo stabilimento e i suoi 407 operai sono svaniti nel nulla attraverso giri di fatture per prestazioni inesistenti, pagamenti di debiti personali, e spese per la bella vita.
Quel che hanno trovato gli uomini della Guardia di finanza ieri, inviati dalla procura di Torino che indaga per bancarotta, sono tre conti correnti vuoti, le auto, e uno stabilimento deserto. Quello in cui da mesi si dovrebbero produrre ormai robot per pulire pannelli fotovoltaici, dispenser per acqua, mattoncini giocattolo e bici elettriche, secondo l’accordo raggiunto nella primavera del 2018 tra Embraco Europe (che fa capo a Whirlpool), e Ventures srl della famiglia Di Bari, con la benedizione del ministro Carlo Calenda, e il paracadute assicurato da Invitalia. Ma nessuna linea è mai stata allestita, nessun prototipo realizzato, e gli operai sono entrai nello stabilimento di Riva di Chieri solo per ridipingere le pareti del capannone. Un copione che replica altre storie di improbabili salvatori, interessati all’arricchimento personale, e intese politiche di breve periodo, che alla fine hanno lasciato per strada centinaia di operai con la promessa di un lavoro. E, in qualche caso, dissipato ingenti finanziamenti pubblici. Era successo con De Tomaso, della famiglia Rossignolo, nel 2009. Ed è di questi giorni il nuovo arresto di Roberto Ginatta, patron della Blutec che avrebbe dovuto riaprire Termini Imerese.
«Troppi avventurieri pronti a speculare sulla pelle dei lavoratori, ecco perché, se si vuole trovare una soluzione ora tocca al governo intervenire direttamemente per salvare i posti di lavoro», sostengono i metalmeccanici di Cgil, Cisl e Uil che a inizio anno avevano depositato un esposto contro Gaetano Di Bari e il suo socio israeliano, Ronen Goldstein. C’erano loro all’Embraco il 6 marzo 2018, quando il ministro dello Sviluppo economico uscente, Carlo Calenda, e il presidente di Invitalia, Domenico Arcuri, rassicuravano gli operai, dicendo: «I licenziamenti sono scongiurati». Lo stesso Arcuri che ora guida l’emergenza Covid a Roma, e che non ha mai risposto alla proposta degli operai di riconvertire lo stabilimento per produrre mascherine e camici. Prima che scada la cassa integrazione.