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 2020  giugno 20 Sabato calendario

Ritratto di Alex Zanardi

Ha cambiato l’immagine dell’uomo senza gambe. Quando il futuro sembrava fratturato lui l’ha rimesso in piedi. Ha costretto lo sport a non scartare i corpi amputati, dimezzati, zoppi. Non perché fanno pena, ma perché anche così valgono. E ha detto una frase che dovrebbe stare nelle scuole: «È disabile chi ha poca stima di sé».
In quella foto dell’oro di Londra dove alza con il braccio destro l’handbike sembra Superman che si mette a fare girare il mondo su un dito. Alex non solo ha vinto e rivinto, sfidato tutto e tutti, pista, Ironman, maratone, ma ha costretto la pietà a scansarsi. Non l’ha cercata, non l’ha voluta, con stampelle e protesi si è rimesso in piedi. Più competitivo di prima. L’ha sempre dichiarato: «Io sono drogato di sport, di sfide. Anche se c’è da aprire un barattolo che non si apre: per me diventa subito un braccio di ferro con il coperchio». Ha dimostrato che si possono perdere «solo» le gambe, ma resta la testa, il fegato, il cuore. Che lo sport ti rompe il corpo, ti sbatte fuori, ma tu puoi provare a riparare il tuo destino, a tornare intero con la voglia e la fantasia.
Anche se hai avuto una vita immensa e dolorosa: Alex ha perso la sorella, morta a 15 anni per un incidente stradale, il padre poco prima di vincere due mondiali di formula Cart (Championship auto racing teams) nel ’97 e ’98, le gambe a poche gare dalla fine di quella che aveva già deciso essere la sua ultima stagione. Senza parlare dei sette arresti cardiaci, delle 15 operazioni in anestesia totale, durata media di tre ore. Un tipo capace di scherzare sulla fama raggiunta: «Dopo l’incidente sono diventato un personaggio strano, un misto tra Padre Pio e Raffaella Carrà». E anche di cambiare idea: «Quando per la prima volta ho visto quel film, Nato il 4 luglio, con Tom Cruise ridotto su una carrozzella dalla guerra, ho pensato: se succede a me, mi ammazzo».
Mamma camiciaia, papà idraulico che al suo ragazzo della via Emilia ripeteva: «Ti auguro di diventare uno che guida in F1, ma nel frattempo impara il mio mestiere che così sarai un pilota che sa anche aggiustare lo scarico di un cesso». Chiave inglese, bulloni, velocità.
Alex in seconda elementare, quando gli altri bambini disegnano le casette, con il pongo costruisce la pista di Indianapolis, curva parabolica inclusa. Gli è sempre rimasta la curiosità e la voglia di spostare i confini. Ha trasformato il suo garage in una palestra e in un laboratorio tipo Nasa. E lui lì a riparare il mezzo meccanico e il suo motore umano. Senza mai tirarsela. Onesto nel rispedire al mittente ogni ipotesi di santità: «Quando correvo fino ai 400 orari sulla pista ero io da solo, adesso sulla mia handbike c’è mezza Italia che spinge con me. Ma non ho fatto niente di speciale, ho preso la bicicletta e ho pedalato».
Estremo nella sua lucida follia perché l’Ironman, gara che prevede 3,8 chilometri di nuoto, 180 con la bicicletta speciale e 42 di maratona in sedia a rotelle, vuol dire tirare il collo alla vita. Lo capì perfino il presidente Ciampi che nel nominarlo Cavaliere di gran croce dell’Ordine al merito della Repubblica, mise da parte i fogli che gli avevano preparato per il discorso, andò da Alex, lo accarezzò, e gli disse: «Lei è un faro per i giovani, e non solo per loro. Ma la prego, Zanardi, d’ora in avanti si voglia un po’ di bene».
È che Alex non ha mai rinunciato: a fughe, sorpassi, fuori pista. Non gli è mai interessato andare più piano, essere prudente, né smettere di guidare la sua esistenza, altrimenti non sarebbe tornato a Lausitzring, un anno e mezzo dopo l’incidente del 2001, a correre 300 km l’ora e a completare i 13 giri che mancavano. Rottamato a chi? E sul traguardo, con la bandiera a scacchi, c’era la moglie Daniela. La stessa che ora è lì con lui, la stessa che nella notte di Berlino, quando Alex aveva in corpo appena un litro di sangue, gli sussurrava «amore, resisti». E Zanardi ha resistito.
Perché è difficile che lui la dia vinta. Gli hanno chiesto: a lei manca solo la luna. Ha risposto: «Me lo proponessero, perché non provarci?». Già, why? Testardo nel voler essere contento quando la vita ti chiede di pentirti. Contrario alla retromarcia. E felice di ribattere: nel sedile dietro, stacci tu.