Perché è importante per lei tornare in sala?
«È stata una decisione naturale. Con i produttori e i distributori volevamo far riprendere il viaggio del film dove si era interrotto. Quasi 900 mila persone lo hanno visto prima che il virus chiudesse le sale, specie al Nord. È rimasto a lungo numero uno in classifica grazie al passaparola, basta vedere i commenti sui social per capire quanto ha saputo scaldare i cuori delle platee».
Oggi lo si vedrà con uno sguardo diverso.
«Solo qualche mese fa non si era consapevoli che quel periodo avrebbe avuto un valore aggiunto oggi, alla luce di questo virus che ha congelato la nostra socialità, il nostro modo di guardare alla vita e alle cose. Abbiamo paura, come mai prima, del futuro e abbiamo una sorta di attaccamento a quel che è avvenuto prima di questa parentesi quasi apocalittica, che ci ha bloccati.
Gli anni più belli oggi ha il valore aggiunto di emotività e memoria, serve a ricordare dove eravamo e da dove siamo venuti, prima che questa cosa cambiasse le regole del gioco, della scuola, del lavoro, della socialità, portando al collasso sanitario e economico. È un film che racconta l’amicizia di quattro persone sullo sfondo di quarant’anni di storia del Paese scanditi da momenti di definizione forti, dalla caduta del muro di Berlino, a Mani pulite, all’11 settembre, ma nessun evento finora era stato così così nuovo e non catalogabile come questo virus».
C’è anche un simbolico ministro della Sanità.
«Un personaggio ispirato a Duilio Poggiolini, che ne ha fatte di cotte e di crude negli anni di Mani Pulite: sembrava che tutto potesse cambiare e invece sanità e scuola sono rimasti il punto debole della nostra catena di welfare, così tagliate hanno mostrato il fianco».
"Gli anni più belli" sembra pensato per l’estate.
«Sì. Intanto è un film molto estivo, molti momenti dei protagonisti sono raccontati nei mesi caldi, anche se si chiude a Capodanno. L’estate è la stagione in cui tutto si ferma per prepararsi a riaprire a settembre e questa è una voglia oggi tangibile e potente. Il rilancio verso il futuro che il film proietta attraverso i personaggi si rivela una grande metafora della nostra posizione di oggi. Abbiamo vissuto questi mesi come chiedeva l’emergenza, ora vogliamo rilanciare e ripartire, proprio come i protagonisti del film».
La riapertura delle sale sarà
graduale.
«Abbiamo deciso di uscire il 15 luglio in sala e nelle arene, che sono raddoppiate rispetto all’anno scorso, proprio per aspettare che le cose si normalizzino. Spero che il film riesca a camminare fino a settembre: l’ho avuto nel cuore per quindici anni, l’ho realizzato negli ultimi due, ha un valore affettivo enorme».
Il pubblico tornerà?
«Sono convinto che il pubblico abbia una sfrenata voglia di tornare al cinema, che stava andando benissimo prima che la stagione si interrompesse. Il virus è arrivato mentre si sentiva il colpo di frusta, si avvertiva una certa saturazione da social e c’era il ritorno in piazza di manifestazioni — da Friday for future alle Sardine — con una grande voglia di un incontro fisico da parte della comunità. Si sente il bisogno di condividere le esperienze insieme e il cinema è la quintessenza di questo. In sala si condivide un’esperienza emotiva con gente che non conosci ma che vive con te paure, risate, commozione. Un film in sala ti può segnare per tutta la vita, noi siamo anche i film che abbiamo visto».