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 2020  giugno 18 Giovedì calendario

La crisi di consenso di Lukashenko

Dopo ventisei anni di regime incontrastato, Aleksader Lukashenko potrebbe essere cacciato a colpi di ciabatta. Il tiranno di Minsk, l’«ultimo dittatore d’Europa», come amano definirlo i giornalisti di tutto il mondo, potrebbe perdere le elezioni previste per il prossimo 9 agosto.
I bielorussi non amano più il baffuto leader che si è impadronito del potere nel 1994 ed è andato avanti a colpi di rielezioni con percentuali bulgare (ma forse ormai dovremmo dire bielorusse) e all’occorrenza modifiche costituzionali per eliminare il vincolo di potersi presentare alle presidenziali al massimo due volte e altre simpatici atti di bullismo istituzionale. Secondo gli oppositori la popolarità del presidente eterno è sotto il dieci per cento, per alcuni addirittura inferiore, al punto che Lukashenko è stato soprannominato «Sasha 3%». A provocare questo buco nero di consensi una certa stanchezza nei confronti dei suoi metodi spicci che si sta diffondendo nella pur letargica repubblica ex sovietica, una economia a dir poco stagnante, l’insoddisfazione per la sudditanza nei confronti della Russia, ma soprattutto il modo disinvolto in cui il leader che a fine agosto compirà 66 anni ha gestito l’emergenza Covid-19. Lukashenko ha sottovalutato il problema spiegando al suo popolo che per battere il virus sarebbero bastati della vodka e una sauna, non si sa in che ordine. Per settimane la Bielorussia ha vissuto normalmente e le autorità hanno continuato a consentire lo svolgimento perfino delle partite della Vyejaja Liha, il poco allettante campionato di calcio locale. Il bluff negazionista però non ha funzionato, o forse sono state fatte troppo poche saune, e così attualmente la Bielorussia conta 56.032 contagi con una popolazione inferiore ai 10 milioni di abitanti, che ne fanno il 15° Paese più colpito al mondo in rapporto alla popolazione, più di Brasile, Regno Unito, Russia e anche dell’Italia.
Naturalmente i bielorussi sanno benissimo che Lukashenko non cederà facilmente alla pressione delle piazze, che a Minsk e in altre città si sono riempite nelle ultime settimane di decine di migliaia di persone armate di ciabatte e pantofole per schiacciare metaforicamente gli scarafaggi della politica locale. Ma «Sasha 3%» non si presenta certo per la sesta volta consecutiva alle elezioni presidenziali per perderle. E così ha iniziato a reprimere allegramente il movimento di opposizione, prendendo di mira i principali esponenti. Una forma di campagna elettorale a cui i bielorussi del resto sono abituati. Le precedenti tornate elettorali sono state condotte a colpi di arresti di massa, rapimenti, manganellate. Stavolta a fare le spese della repressione lukashenkiana è stato tra gli altri Sergei Tikhanovski, blogger e attivista molto popolare tra i bielorussi, un youtuber con 235mila follower, che sono tanti per la Bielorussia. È stato lui a mobilitare le folle invitandole a scendere per strada con le ciabatte, è stato lui a raccogliere le firme per presentarsi alle presidenziali, è stato lui inevitabilmente a essere arrestato il 9 maggio con l’accusa di aver organizzato una manifestazione non autorizzata. Tikhanovski è stato liberato su pressione di associazioni per i diritti umani dopo che la moglie Svetlana aveva preso il suo testimone provando a candidarsi a sua volta. Un altro candidato, Viktor Babariko, ha visto mettere sotto attacco giudiziario la sua banca, la Belgazprombank. Lukashenko è nervoso, sente la sconfitta vicina come mai e questo vorrà dire che i prossimi due mesi saranno molto agitati in Bielorussia.