ItaliaOggi, 18 giugno 2020
A Genova in mostra un unico grande quadro
Nella nostra società di massa e opulenta anche le mostre d’arte erano divenute delle ammucchiate spettacolari. Il giudizio su di esse era in primo luogo: quanti visitatori ha richiamato; e di conseguenza quanto ha guadagnato. Dalla mattina alla sera era un flusso continuo di persone che la visitavano, attratte dal nome dell’artista esposto, ma anche dalla pubblicità con cui la mostra veniva presentata.La più gettonata fu quella di Leonardo da Vinci, in occasione dei 500 anni dell’anniversario della morte. Fu un record, più di un milione e 200 mila di paganti, la mostra più visitata in tutta la storia del Louvre. Demolito il primato precedente della mostra, sempre al Louvre, di Eugène Delacroix: 540 mila presenze.
Ogni giorno ne arrivavano 10 mila, eppure la visita era rigorosamente su prenotazione. Si dovette aprire 46 aperture serali. Eppure molti l’hanno perduta. Poco male, dal 16 al 22 settembre nella sale cinematografiche francesi uscirà il film Une nuit au Louvre: Léonard de Vinci (anche questo sarà visibile solo su prenotazione).
La mostra su Leonardo si è conclusa il 24 febbraio 2020, mentre stava giungendo quel Coronavirus che avrebbe fatto chiudere tutte le mostre. E bloccò anche quella mostra con 57 capolavori di Claude Monet, che doveva aprirsi a Shanghai. E, soprattutto, avrebbe costretto governi e istituzioni artistiche a pensare per il futuro a tutta una nuova struttura e metodologia delle mostre d’arte.
A Genova lo si è tentato. A Palazzo Ducale si è aperta una mostra curiosa e bizzarra: Cinque minuti con Monet. A tu per tu con le Ninfee (aperta sino al 23 agosto, ore 10-19; lunedì 14-19). È al limite estremo un nuovo tipo di mostra. Tutti gli esperti consigliano che le mostre non siano più ammucchiata: solo uno o alcuni grandi pittori, esposti in modo che il visitatore riesca a fare una completa e sentimentale unificazione con essi. Puntare dunque sulla qualità e tenere la quantità in secondo piano, senza esagerare. Genova lo ha fatto con una «Ninfea» di Monet.
Ciò che viene esposto è solo una di quelle pitture, che riempiono l’attività del pittore negli ultimi decenni della sua vita. Si tratta di una Ninfea prestata dal Museo Marmottan di Parigi. Di certo una delle sue più perfette, che ora viene mostrata da sola in una sala del Palazzo Ducale, alla quale possono accedere per cinque minuti solo 3 o 4 persone alla volta.
Monet era nato a Parigi nel 1840 e aderì alla tecnica del plein air che l’impressionismo farà trionfare a metà secolo. Il suo grande modello era Manet, col suo Déjuner sur l’erbe (1865). Nel 1872 dipinse Impression. Soleil levant, efficacissimo e armonica sintesi di luce e colore. Destinato con suo titolo a dettare il nome della nuova corrente («Impressionismo»).
È la stagione in cui compaiono le sue più riuscite opere impressioniste, come ponti e stazioni, spiagge e scogliere. Ma intanto aveva avuto due importanti esperienze: anzitutto il misterioso compenetrarsi di luce e colore delle stampe giapponesi, che in quegli anni facevano ingesso a Parigi nella cultura colta. E poi la macchina fotografica, ch’egli sempre usò per le impressioni provocate dalla rete dei colori sugli occhi. Ne sono testimonianza originali le Vedute di Venezia e le Cattedrali di Rouen.
I decenni del nuovo secolo lo videro impegnato in quella mescolanza di luce, colore e acqua che furono le Ninfee. Per le quali si costruì un ambiente adatto: una villa alla periferia di Parigi, nella quale situò le ninfee arrivate dal Giappone, attorno al giardino con quattro salici piangenti e un ponticello orientale.
Uno dei cicli pittorici che più hanno influenzato la pittura del Novecento. Si tratta di una serie di quadri (250!) giganteschi, il lato di ognuno è quasi due metri, vi lavorò dagli anni di fine secolo sino alla morte nel 1926. Gran parte delle Ninfee furono trasferite nella Orangerie des Tuileries.
Con le Ninfee Monet ha ormai del tutto abbandonato ogni condizionamento della forma. Egli apre l’impressionismo verso un nuovo stile, l’astrattismo, nel quale la superficie pittorica diviene cromatismo «metafisico».