Corriere della Sera, 18 giugno 2020
Mazze chiodate, sassi e geopolitica sull’Himalaya
Perché sparare quando si vuole creare un caso di confine? Si può farlo anche se, per evitare incidenti, i soldati cinesi e quelli indiani che controllano l’incerta frontiera himalayana tra i due Paesi sono disarmati. Infatti, nella notte tra il 15 e il 16 giugno sono entrate in funzione le mazze chiodate, quelle avvolte di filo spinato, e i sassi.
Primo risultato: 20 indiani morti e altri feriti – ufficialmente ammessi da Delhi – e forse 35 vittime sul lato cinese – numero dell’intelligence di Delhi per nulla confermato da Pechino. Secondo risultato: tensioni forti ed esercito, marina e aviazione indiane messe in allerta ieri sera. Terzo risultato: il rapporto instabile tra i due giganti asiatici che vacilla.
La dinamica dello scontro – il maggiore tra India e Cina dal 1975 – probabilmente non la si conoscerà per molto tempo. Il confronto tra le due parti nella Galwan Valley, nel Ladakh, va avanti da mesi per questioni di confine. I cinesi sostengono che i soldati di Delhi rafforzano con arroganza le loro posizioni lungo la Line of Actual Control. Gli indiani accusano Pechino di una provocazione a scopo intimidatorio alla quale, ha fatto sapere il primo ministro Narendra Modi, potrebbero rispondere. Ma entrambe le capitali assicurano che cercheranno soluzioni pacifiche.
Palesemente, le parti non vogliono una guerra come quella del 1962 (vinta dai cinesi). Ma nessuno dei due governi può permettersi, davanti alle proprie opinioni pubbliche e in clima di nazionalismo crescente, di sembrare debole e arrendevole.
Lo scontro della notte tra lunedì e martedì non è comunque una semplice scaramuccia. Alla sua base c’è il fatto che lo scacchiere politico asiatico è in grande movimento, accelerato dalla pandemia, e si è ampliato: in seguito all’espansionismo cinese e alla reazione degli altri Paesi, non riguarda più solo gli equilibri nel Pacifico ma l’intera area Indo-Pacifica, dal Giappone fino all’Africa. Una dimensione nella quale si muovono sia le pedine cinesi che quelle indiane.
Modi e il presidente cinese Xi Jinping si sono incontrati una volta a Wuhan e un’altra vicino a Chennai (Madras), per creare uno «spirito» positivo tra le due potenze. Delhi e Pechino collaborano nel gruppo dei Brics e nella Shanghai Cooperation Organization. Dopo lo scontro dei giorni scorsi, però, più di un commentatore indiano ora invita Modi a «gettare a mare» questi vertici tra l’atro egemonizzati da Pechino. E propone di accentuare l’avvicinamento a quelle forme di alleanza che si stanno creando in Asia come risposta all’espansione economica e militare cinese, in particolare alla cosiddetta collaborazione Quad, cioè il quadrilatero Stati Uniti-Australia-Giappone-India.
Nei mesi scorsi, in effetti, ci sono state diverse occasioni nelle quali le frizioni tra Delhi e Pechino sono venute alla luce. Una prima, la scorsa estate quando Modi ha centralizzato a Delhi il controllo dello Stato indiano del Kashmir, che fino a quel momento godeva di forte autonomia ed è un territorio di confine sensibile con il Pakistan e con la Cina. L’asse privilegiato sviluppato da Modi con il primo ministro giapponese Abe Shinzo è un altro motivo di irritazione di Pechino, secondo solo alla «partnership strategica» stipulata dal premier indiano con il capo del governo australiano Scott Morrison. Di recente, Pechino ha criticato i viaggi di parlamentari indiani a Taiwan. E il 12 giugno, tre giorni prima degli scontri del Ladakh, i cinesi hanno definito «una sfida alla sovranità di Pakistan e Cina» una nuova mappa dei confini realizzata l’anno scorso da Delhi.
Di fronte alla pandemia, l’India è in difficoltà: con l’80-90% dell’economia che è informale e con città nelle quali il distanziamento tra persone è impossibile, la crisi è estremamente seria dal punto di vista sanitario ed economico. Pur nell’emergenza, però, Modi ha assicurato che «non ci saranno compromessi sui confini»: ha messo in stato d’allerta le forze armate e ha convocato tutti i partiti indiani per discutere anche iniziative diplomatiche e le alleanze nel bacino indo-pacifico.