la Repubblica, 18 giugno 2020
Parla la vedova di Saramago
Cosa vuoi che faccia?, gli aveva chiesto un giorno Pilar, sua moglie. E lui: «Continuarmi». L’andalusa Pilar del Río, musa e manager che conJosé Saramago ha condiviso 24 anni di vita, minimizza: «Non è facile perpetuare un essere umano, tanto più una persona come Saramago». Pilar oggi, a dieci anni dalla morte del premio Nobel, sembra voler sfrondare il ricordo dai ghirigori affettivi, concentrandosi sull’attualità di un’opera lucida e visionaria, capace di denudare la sostanza di ciò che è umano e disumano. Il romanzo Cecità, storia di un virus che rende di colpo tutti ciechi (Feltrinelli, come gli altri libri citati dello scrittore), con 40 mila copie vendute è balzato nei mesi della pandemia in cima alle classifiche, insieme a La peste di Camus. Pilar non si stupisce, è ciò che José sapeva fare meglio: «Descrivere le paure che tutti sentiamo e proviamo». Racconta di aver trascorso i giorni del lockdown nella casa di Lisbona, di aver ripreso in mano La peste e trovato più di un’affinità: «Camus e Saramago hanno saputo penetrare profondamente l’animo umano descrivendo scenari terrificanti».
Negli ultimi anni della sua vita, Saramago somigliava a un profeta asciugato dal vento e dal sole di Lanzarote, l’isola vulcanica delle Canarie immersa nell’Oceano dove con Pilar avevano scelto di vivere. Il suo sguardo ironico, appariva sempre più incline all’apocalisse. Nel bellissimo film documentario José e Pilar, diretto dal regista Miguel Gonçalves Mendes, a un certo punto Saramago pronuncia una frase apodittica: «Come comunità la specie umana è un disastro». Una sentenza che appare senza appello, ma che Pilar interpreta diversamente: «In realtà credeva profondamente nella nostra capacità di migliorare. Diceva: siamo riusciti ad andare nello spazio, come mai non riusciamo a risolvere i problemi che abbiamo sulla terra? Se non lo facciamo, è perché non abbiamo completato il nostro processo di umanizzazione. Non tollerava le ingiustizie, che ci fossero milioni di esseri umani a cui manca tutto».
Nessuno più di Saramago ha mostrato il rischio di diventare disumani. Ecco perché per ricordarlo, nel giorno in cui ricorre l’anniversario della sua morte, la Fondazione José Saramago, della quale Pilar è presidentessa (mai chiamarla presidente, può innervosirsi) organizza una cerimonia tra parole e musica, per valorizzare ciò che lo scrittore apprezzava di più. La mattina nella biblioteca della casa museo di Lanzarote, a mezzogiorno, ora della morte di José, suoneranno il violoncellista Carlos Rivero e José Vicente Perez, suonatore di timple, una chitarra tipica delle Canarie, mentre nel pomeriggio nella sede della Fondazione di Lisbona verranno letti stralci dall’ultimo romanzo Alabarde Alabarde, al quale Saramago stava lavorando prima di morire, rimasto incompleto. La lettura andrà in streaming, affidata ai tre attori André Levy, Joana Manuel e Tiago Rodrigues (ore 18,30, costo 3 euro, i ricavati a un fondo di artisti portoghesi “per mitigare i danni della pandemia”, www.crowdcast. io/e/fjsaramago20200618-alabardas). Alabarde, Alabarde è un romanzo sociale, racconta di un uomo impiegato in una fabbrica di armi e della sua crisi di coscienza. Pilar lo ha scelto non solo perché è il libro del congedo ma perché «è ancora una volta una storia che fa appello all’etica della responsabilità». Una storia che svela le nostre contraddizioni: «Viviamo in paesi che spendono milioni e milioni in armi “per difenderci” oper espandere le loro egemonie, e alla fine un virus è in grado di distruggere l’umanità… Mi sembra molto significativo». Rileggere Alabarde Alabarde fa parte di un “progetto Saramago” che Pilar sta promuovendo con la Fondazione: «Un programma in difesa della cultura, dei diritti e dei doveri dell’uomo, cioè di tutte le cose a cui José teneva, in vista del centenario della nascita nel 2022. Ci stiamo interessando anche dell’emergenza ambientale».
Quando erano insieme Pilar e José non stavanomai fermi:«La parolariposo non faceva parte del nostro dizionario vitale». Per capire il carattere di Pilar, donna colta e energica, traduttrice in spagnolo delle opere del marito, un passato da giornalista, può bastare la risposta con cui fulminò un giorno chi criticava la sua onnipresenza negli affari di José: «Che volete, che io docile e disciplinata mi metta a lucidare l’argenteria?». Sul loro primo incontro, nel 1986, José e Pilar nel tempo hanno rivelato molto. Lei era una sua lettrice, lo aveva chiamato, si erano visti e avevano capito subito che non sarebbe finita lì. Pilar aveva 36 anni, José 63, la sua età ribaltata, un perfetto incastro cabalistico. Nel romanzo La zattera di pietra Saramago racconta che l’apparizione di Pilar gli aveva fatto tremare la terra sotto i piedi: «Ha fatto muovere il pavimento di legno come il ponte di una nave», scrive. Ma Pilar oggi sminuisce: «I bravi scrittori si sa fanno letteratura su tutto… Non ho sentito la terra tremare quel giorno, ma sapevo che quell’incontro all’interno di un caffè sarebbe stato definitivo nella mia vita. Lo fu».Anche sulle dedichedei romanzi preferisce sorvolare. Bellissime, ma “cose da scrittori”. Eccone un po’: “A Pilar, che non ha permesso che io morissi”; “A Pilar, la mia casa”; “A Pilar, i giorni tutti”; “A Pilar, mio pilastro”. E quella stupenda de Le piccole memorie, il libro in cui Saramago rievoca la sua infanzia e adolescenza: «A Pilar, che ancora non era nata e tanto ha tardato ad arrivare». Però qualcosa sulla loro relazione Pilar ha comunque voglia di aggiungerlo: «Non volevamo che la vita passasse così, volevamo viverla a fondo. Per questo forse abbiamo scelto di andare a stare in un’isola. Perché lì non c’era spazio per le chiacchiere, i rumori della società a Lanzarotenon arrivavano. Se dovessi dire che vita è stata, direi che è stata una vita di attenzione e comprensione reciproca, una vita di cura. Abbiamo vibrato e lavorato insieme, tutto qui».
José adorava Pilar e rispettava le donne, tutte: «Condivideva la nostra sensibilità. I suoi libri sono pieni di grandi personaggi femminili, penso a Blimunda in Memoriale del convento e a Lilith in Caino ». Era un uomo malinconico, ma cordiale e affettuoso: «Agli eventi sociali preferiva le cene a casa con gli amici. Era un gentiluomo discreto in pubblico ma in privato pieno di umorismo. Era molto divertente».
Saramago è morto dieci anni fa, arrabbiato per quello che osservava nel mondo ma in fondo innamorato della vita: «Aveva appreso la saggezza dai nonni contadini. Quei nonni analfabeti gli avevano insegnato a riconoscere le stelle e gli alberi, a cogliere il bello intorno a sé. L’idea di morire certo non gli piaceva ma ci scherzava sopra. Si è divertito anche col suo epitaffio: “Qui giace José Saramago, indignato…"».