Corriere della Sera, 17 giugno 2020
Roma rimasta senza cinema
La città del cinema è senza schermi. Questa Roma spaesata dalla tremenda immersione nella paura, scopre la vacuità delle cartoline, l’inconsistenza delle immagini stereotipate che proprio il cinema le ha regalato, il deserto. Altro che Dolce vita, alla Fontana di Trevi non fa il bagno neanche chi vuole confondere le lacrime e il muro di turisti non la nasconde. Neanche Totò riuscirebbe più a venderla a un turista americano. Altro che Grande bellezza, qui di feste neanche si parla e perfino quella Roma ha perso la plastica dell’indifferenza. I numeri sono impietosi: stanno riaprendo pochi cinema con pochi schermi, anche perché nuovi titoli da proporre si contano sulle dita di una mano. Sono ripartiti i set e tutto il caravanserraglio della produzione che a Roma vive di altissime qualità artigianali, ricercate da tutto il mondo. È importante, ma è un mondo che ha l’orologio molto lento. Non si capisce ancora che succede con le Arene estive, perché i protocolli anti contagio le limitano e per l’infinita confusione che domina un mercato nervoso e schiavo della paura: in realtà un accordo esiste e nessuno l’ha contestato. L’anno scorso l’assessore alla crescita culturale Luca Bergamo e i distributori avevano stabilito il via libera alle arene estive «gratuite» a condizione che proponessero film antecedenti alle ultime due stagioni. Nessuna rivoluzione, solo buon senso e convergenza tra le preoccupazioni dei produttori e la voglia di offrire occasioni di qualità agli spettatori. Ma tutto oggi si scontra con una serie di equivoci. I numeri sui cinema esistenti a Roma sono crollati: nel 1911 erano 30, nel 1953 erano 273, nel 1977 l’ultimo boom. Oggi, ci consoliamo dietro i 219 schermi, ma le sale sono poco più di 40, la maggioranza multiplex senza storia, dove potresti essere ovunque da Stoccolma a Minneapolis. Manca un deciso intervento del ministero per sostenere tutto un settore. Manca un progetto qualsiasi per settembre, quando la crisi sarà ancora più dura e povera. Manca una visione di come vogliamo difendere la socialità del vedere un film insieme. Altrimenti, separati e senza neanche parlare, ci chiuderanno nelle case a vivere in streaming e Roma non sarà più Roma, ma solo una linea wifi.