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 2020  giugno 17 Mercoledì calendario

Nel mitico studio di animazione Ghibli

La storia dello Studio Ghibli comincia il 15 giugno di 35 anni fa, a Tokyo, quando Hayao Miyazaki, Isao Takahata e Toshio Suzuki decisero di mettersi insieme, di creare qualcosa che ancora non esisteva, e di fare dell’animazione, della buona animazione, la loro missione di vita. Miyazaki e Takahata erano registi e sceneggiatori, Suzuki produttore. I primi due, nel corso del tempo, sono diventati le due facce dello Studio. Suzuki, invece, è sempre rimasto dietro le quinte, a muovere i fili, a mettere insieme i budget, le risorse, a proteggere – talvolta letteralmente – gli artisti dall’esterno. 
Ha trovato nuovi talenti, ha insistito perché anche Goro, figlio di Hayao, esordisse alla regia, e ha viaggiato per il mondo incontrando persone, creativi, altri produttori; ha tenuto insieme lo Studio, quando ha rischiato di essere chiuso, ed è stato lui, prima di ogni altro, a trovare nelle piattaforme streaming, in Netflix e in Hbo Max, i fondi necessari, per Miyazaki, per continuare a lavorare. Anche se dopo Si alza il vento, il suo ultimo film, aveva annunciato il ritiro. Anche se ha ripetuto innumerevoli volte di non voler cambiare, di voler continuare a modo suo, «senza troppo digitale, senza computer: solo matita e colori, frame dopo frame». 
Ora Miyazaki sta sviluppando una nuova storia, How do you live?, e pare che ci vorranno almeno tre anni per completarla. «Per ogni minuto di film, serve circa un mese di lavoro – dice Suzuki a Entertainment Weekly –. Al momento, ci stanno lavorando 60 animatori. Ed è stata finita solo la prima mezz’ora». Intanto, anche Goro è al lavoro, e lo Studio Ghibli, che era stato smantellato, è tornato a nuova vita. Takahata è scomparso recentemente, nel 2018. E la sua morte ha rappresentato un punto di svolta. 
Lo Studio Ghibli è una delle ultime roccaforti dell’animazione, in cui conta il lavoro manuale, e in cui le idee vengono inseguite senza sosta. «La cosa veramente unica dei nostri film è l’atmosfera che contengono – sottolinea Suzuki –. Un’atmosfera di reminiscenza». Miyazaki, come Takahata, ha una visione. E non gli interessano gli incassi o il successo. Quello che gli importa è esprimere la sua voce, raccontare qualcosa che possa colpire e smuovere le coscienze del suo pubblico. I temi di cui si occupa sono sempre gli stessi: pacifismo, ambientalismo, infanzia, crescita, il rapporto tra uomo e natura, e lo scontro tra guerra e morte. 
In alcuni film, Miyazaki si è rivolto direttamente ai più giovani, come ne Il mio vicino Totoro; in altri, è rimasto in bilico, sospeso, come nel film Premio Oscar La città incantata. Con Si alza il vento, ha voluto raccontare la storia del Giappone in guerra, la sofferenza del suo popolo e, in parte, anche la sua infanzia. Tornano spesso l’Italia e l’aviazione, e torna anche una certa affezione per l’arte e la letteratura occidentali. 
La storia dello Studio Ghibli coincide con la storia di Miyazaki e con quella di Takahata, coincide con la loro amicizia e con la loro rivalità, e anche con la lungimiranza di Suzuki. È sempre stato una realtà piccola, di nicchia, con una sua ricchezza (il talento, la qualità, l’attenzione per i dettagli) e una sua debolezza (i costi eccessivi, le lungaggini, il carattere per niente facile di Miyazaki). Nel tempo, ricorda nel suo libro appena uscito Sharing a House with the Never-Ending Man, Steve Alpert , l’americano che ha lavorato 15 anni alla corte di Miyazaki , gli si sono avvicinati Disney e anche Harvey Weinstein per distribuire le sue produzioni in America (e Miyazaki finì per scontrarsi con Weinstein, perché non voleva rimontare i film secondo le sue indicazioni). 
In 35 anni di uscite al cinema, di successi al botteghino, di premi e di onorificenze, e di polemiche e di diatribe familiari (Miyazaki senior non è un fan di Miyazaki junior), molte cose sono cambiate, molti nomi si sono avvicendati, e il mondo stesso, con la sua complessità e con la sua brama, è andato avanti. Non lo Studio Ghibli. Che rimane lì, fermo, immobile, un puntino nella tradizione del cinema, un pilastro in quella dell’animazione mondiale, e che continua a fare le stesse cose nello stesso modo. Una rivoluzione senza fine.