(ora nel libro Lontano Lontano, Sellerio) scritto con Marco Pettenello. Presentato al Festival di Torino, da domani è su RaiPlay. Di Gregorio è un professore di latino in pensione che passa il tempo con l’amico di sempre, Giorgetto (Giorgio Colangeli), s’arrabatta con la pensione minima e propone di spostarsi in uno dei paesi in cui i limitati introiti si trasformano in redditi da benestanti. Cercano il cugino della tabaccaia che ha un fratello che ce l’ha fatta, scoprono che l’uomo, il fricchettone Attilio con una Triumph Bonneville in giardino e un banco di mobili vecchi a Porta Portese (Ennio Fantastichini alla sua ultima interpretazione), non ha parenti all’estero ma decide di unirsi ai due. A far loro da consulente per la ricerca della meta è un economista in pensione, Roberto Herlitzka. Tra bevute e porchetta, vinelli e grappe, scartoffie e soldi da racimolare per la cassa comune, i nostri realizzeranno un viaggio importante, anche se non quello che avevano immaginato.
A darle lo spunto è stato il suo amico Matteo Garrone?
«Mi ha chiamato: "Tu che sei specializzato in vecchietti, devi fare un film su un pensionato italiano che non ce la fa, che immagina e cerca di andare all’estero". Mi ha folgorato, questa cosa mi è piaciuta moltissimo.
Ho fatto una lunga ricerca. La scrittura è durata un anno e mezzo, parlavo con gli anziani ai giardinetti, era un discorso fisso di tanti pensionati, la meta preferita il Portogallo».
Per questo la costruzione del progetto dei tre protagonisti è plausibile.
«Sì, anche il personaggio di Herlitzka che mi dà consigli: un economista mi ha fatto il discorso che ho riprodotto nel film. Il problema sono i tempi, la burocrazia. Non è così semplice, a parte le paure dell’età, andare in un paese dove sarai straniero. Ho immaginato i miei timori. Ho scritto la sceneggiatura con Marco Pettennello, scrittore dei film di Mazzacurati, un bell’incontro».
Come ha scelto la tipologia dei tre protagonisti?
«Il professore sono io con le mie paure, l’amore per il latino, il fatto che non mi sono mai mosso da qui.
Abito nella casa di mia madre, quella di Pranzo di Ferragosto: più che stanziale sono un albero piantato.
Giorgetto, Giorgio Colangeli, è ispirato a un vecchio amico di Trastevere, il Vichingo».
Era in "Pranzo di Ferragosto".
«L’ho amato molto, Colangeli l’ha restituito in un modo speciale. Mi chiedeva: questo non fa niente, è difficile da rappresentare. È l’uomo semplice senza fronzoli, mi pare che ci siamo riusciti. Poi c’è l’ex fricchettone. Lo avevo solo immaginato ma Fantastichini si è rifatto a un amico che aveva perduto. È una combinazione strana, abbiamo portato entrambi un personaggio amato e coerente, non scritto ma vissuto».
Il momento migliore di voi tre?
«Non conoscevo Ennio e Giorgio. Ho chiesto al produttore di organizzare un incontro prima del set, ci hanno prenotato un tavolo in trattoria.
Sembrava che ci conoscessimo da trent’anni. Non abbiamo detto una parola sul film, ci siamo ubriacati e alla fine ci sono venuti a prendere con la macchina perché non eravamo in grado di tornare a casa.
Un calore incredibile, forse la romanità, l’età, una vita vissuta in parallelo nello spettacolo. Due attori eccezionali, il primo giorno ho capito che pensavo di guidare un’utilitaria e mi ritrovavo su una Ferrari. È nata un’amicizia. La morte di Ennio, un mese e mezzo dopo le riprese, ci ha annichilito. Suo figlio Lorenzo quando ha visto il film mi ha abbracciato, "il regalo più bello, rivedere mio padre". In tanti mi hanno detto che forse era la sua interpretazione migliore e questo mi ha dato un po’ di gioia».
Il film racconta quanto conta per gli anziani essere circondati da persone e luoghi familiari.
«Dà un senso per andare avanti nonostante tutto. I bar sono un piccolo tempio di calore umano. La socialità è importante a qualunque età e in qualunque condizione, anche difficile. Anche fare quattro chiacchiere all’angolo della strada diventa importantissimo».
Come per "Pranzo di Ferragosto", il film è piaciuto ai critici stranieri.
«Sta uscendo su piattaforme all’estero, ho ricevuto una bella reazione. Non so, forse è la semplicità raccontata con profondità, il parlare in modo onesto di un’età che mi appartiene, raccontare le cose inventando ma all’interno di una realtà che è di tutti. E forse è il grande amore che ho per la gente. Passo la vita a guardare le persone, anche dalla finestra, parlo con tutti per la strada. È la mia indole. Sono felice che il mio film viaggi per il mondo».