Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  giugno 17 Mercoledì calendario

Il poliziotto in tv non piace più

Good cop/bad cop. Poliziotto buono/poliziotto cattivo. Anche l’immaginario americano ha usato questa tattica, oscillando tra i due opposti. Film, serie televisive (e in misura minore libri) hanno cercato di cancellare dai muri dell’opinione pubblica il famigerato acronimo di derivazione britannica A.C.A.B. (All Cops Are Bastards, Tutti i poliziotti sono bastardi). Con il tempo il pendolo si è spostato verso il lato oscuro, dove ha cominciato a muoversi in modo irregolare, senza che più si capisse se fosse la realtà a determinare la rappresentazione o viceversa. Ora, improvvisamente, giacché in passato mai la cronaca aveva avuto questo potere, si è fermato. Non si sa più chi e cosa raccontare, ma soprattutto come. Un problema di coscienza? Anche, forse. Di certo, un dilemma di marketing. Il pubblico non rigetterà qualunque forma di spettacolo legato alla presenza poliziesca? Nel dubbio, astenersi.
Dopo l’11 settembre 2001 erano stati bloccati tutti i film nella cui trama ci fossero poliziotti corrotti, per rispetto a quelli caduti nel fuoco catartico delle Torri Gemelle. Dopo il 25 maggio 2020, data dell’uccisione di George Floyd a Minneapolis, hanno “arrestato” lo show.
Il simbolo di questo “fermo immagine” è la fine di Cops. Cominciò l’11 marzo 1989, presidente Bush padre, sulla reteFox. Sopravvisse all’omicidio di Rodney King e a quello di Trayvon Martin, semplicemente scansandosi e cambiando canale. Trentatré anni, mille episodi, quattro premi Emmy, il programma si è spento lo scorso 11 maggio. Ha messo in scena un mondo parallelo, in cui la polizia è quasi sempre efficace: la media dei casi risolti è dell’84%, con stagioni in cui ha raggiunto il 95%.
Al dipartimento di cui si seguivano le gesta era consentito il final cut, come a un regista di fama. Ai criminali o presunti tali la liberatoria era richiesta, ma in teoria. Nella pratica era imposta, in un caso addirittura dal giudice, per concedere la cauzione (e l’accusata fu poi assolta a telecamere spente). I poliziotti di Cops erano quasi tutti bianchi. I delinquenti, quasi tutti neri o ispanici. La narrazione, a senso unico. Lo ha ammesso il New York Times nel “coccodrillo” del programma: i telespettatori, alla tv come al cinema, hanno passato quasi tutta la loro vita guardando la storia da un solo lato, al di qua del parabrezza, di fronte a un cruscotto, in un’auto della polizia.
La letteratura ha divagato scegliendo l’investigatore privato come protagonista, ma nella cultura di massa si è puntato sull’agente, sull’ispettore, sul commissario. Su quel cruscotto stazionavano, durante una veglia notturna, panini smozzicati avvolti nella stagnola, mentre l’audio trasmetteva il risucchio di una bibita con la cannuccia. I discorsi in attesa del sorvegliato (per lo più uno spacciatore nero), vertevano sullo stipendio basso e i rischi alti, il miraggio della pensione, le ansie di moglie e figli (l’investigatore privato è sempre single, il poliziotto tiene famiglia).
Law & Order, Csi, Ncis hanno raccontato storie senza deviazioni, ma quelle chiacchiere sui sedili hanno precostituito le cause di giustificazione per un futuro meno rettilineo. Quando arriveranno I ragazzi del coro (in origine: I chierichetti ) con i loro peccati veniali e mortali, si scoprirà che uno è traumatizzato dal Vietnam, un altro dalla mala educazione in un collegio di gesuiti. Li accerchierà, come sempre, il blue wall of silence, il codice omertoso tra le divise blu: chi lo rompe, paga. Per informazioni, rivolgersi a Frank Serpico. Quello vero, nella sua casa di legno tra i boschi o quello cinematografico, interpretato da Al Pacino? Quale dei due dice la verità? Fu lasciato solo dai colleghi perché gli sparassero o fu un malinteso?
È a un poliziotto di fantasia che si ricorre per definire il dilemma morale della categoria, detto anche “il problema di Dirty Harry”.Sarebbe il personaggio dell’ispettore Callaghan, Clint Eastwood. Harry piega la legge ai fini di quella che ritiene, e in certi casi è sicuramente, la giustizia. Ma è lecito? E chi può deciderlo se non, appunto, la legge? Torturare un criminale per liberare un innocente o rilasciare un’assassina perché vendicatrice di stupri, si può? Stando alle regole no, ma lo spettatore da che parte è inclinato? Perfino Il cattivo tenente (Harvey Keitel per Abel Ferrara) ha un itinerario di redenzione e arriva al traguardo con il sacrificio. Oltre il cruscotto, al di là del parabrezza, c’è invece violenza cieca, nessuna grazia.
Soltanto a partire dai Sopranos (1999) si è mostrata la familiare banalità del male. Delinquenti bianchi, ovviamente. E i poliziotti neri? Il primo a conquistare un Oscar non è stato il corretto ispettore Tibbs, ma Alonzo Harris, il veterano corrotto interpretato da Denzel Washington in Training day. Per riformare la realtà occorrerà, anche, rivedere l’immaginario.