il Fatto Quotidiano, 17 giugno 2020
Ustica, il supermarket dei depistaggi
Sta per riaprire il funebre Supermarket dei depistaggi, scaffale Ustica. Sul quale stanno in ultima fila le identità delle 81 vittime ormai invisibili: uomini, donne, bambini inghiottiti quarant’anni fa dal mare di onde del Tirreno e per quarant’anni dal mare di bugie della Repubblica italiana.
Sullo scaffale in prima fila luccicano le scatole colorate di tutte le false verità che i militari dell’Aeronautica, le agenzie di investigazione, i servizi segreti, le cancelleria dei Paesi Nato, i presidenti e i ministri di 31 governi italiani, le ambasciate, le gazzette, i testimoni falsi e quelli veri, hanno confezionato con velocità costante di crociera e rotta verso il nulla, a partire dalle 20.59 del 27 giugno 1980, quando il Dc-9 Itavia, in volo da Bologna a Palermo, scomparve dal cielo dei radar, per ricomparire, in forma di fantasma e di rimorso, nella palude oscura della nostra storia.
Tutte scatole allineate, spolverate, a portata di mano, basta scegliere quella che sa come attrarci di più, che è poi la migliore tecnica del depistaggio che consiste nell’accumulare versioni verosimili, bugie equivalenti e strato dopo strato, nasconderci il più a lungo possibile la verità.
La prima scatola contiene il famoso “cedimento strutturale” dell’aereo, imploso così, senza preavviso, maledetta fatalità, no anzi colpa della compagnia aerea Itavia, colpevole di mancata manutenzione e che a causa del disastro, andrà fallita. Tanti saluti all’aerolinea che solo oggi (forse) riceverà 330 milioni di euro dai ministeri della Difesa e dei Trasporti, a titolo di risarcimento per quella falsa accusa.
La seconda racconta che fu colpa di due Mig libici di scorta all’aereo di Gheddafi in viaggio verso Belgrado, che si infilarono sotto la traccia radar del Dc-9 per proteggersi nel cielo ostile della Nato, sbagliando i calcoli della distanza dall’aero passeggeri, abbattendolo nella collisione.
La terza corregge l’incidente in battaglia aerea: furono i Mirage francesi che tentarono di intercettare l’aereo di Gheddafi e i Mig. Presero la loro scia, lanciarono due missili aria-aria, purtroppo sbagliando la fonte di calore e colpendo l’aereo di linea in transito.
La quarta scatola cambia i protagonisti dell’inseguimento, non più i Mirage francesi, ma gli F 104 americani : anche loro lanciati all’inseguimento di Gheddafi, che in una versione scagliano il missile assassino, nell’altra vanno a sbattere contro un’ala del Dc-9, facendolo esplodere in volo.
L’ultima scatola, improbabile quanto la prima, ma utile a completare l’offerta, una bomba a bordo, forse nascosta nelle toilette dell’aereo, dunque un attentato terroristico, di cui non si è mai capito lo scopo, salvo quello di scagionare tutti: i francesi, gli americani, la Nato, i libici. E naturalmente i nostri generali che infatti l’hanno scelta a colpo sicuro e con la mano sul cuore.
Ognuna delle cinque scatole è confezionata per bene con milioni di parole, migliaia di particolari, centinaia di confessioni, ritrattazioni, equivoci. E poi dettagli tecnici, intercettazioni radio, tracciati radar, fogli bianchi, fogli smarriti, registrazioni telefoniche cancellate, testimoni che appaiono e scompaiono, testimoni che muoiono, come due addetti ai radar di quella notte, che a distanza di anni si impiccano senza lasciare spiegazioni, o i tre piloti italiani che muoiono durante l’esibizione acrobatica aerea di Ramstein, in Germania, prima di un loro interrogatorio cruciale, o il tecnico informatico, anche lui suicida, che lavorava ai tabulati e alle comunicazioni tra le basi militari italiane. E poi i processi che non si celebrano. Le Commissioni di inchiesta che riempiono migliaia di pagine, senza arrivare mai a nulla di definitivo. Nemmeno sul Mig libico ritrovato venti giorni dopo la strage sui monti della Sila, con tanto di pilota “in avanzato stato di decomposizione”: c’entra con quella battaglia aerea? Forse sì, forse no. Anche quel mistero ha diritto al suo scaffale nel Supermarket delle verità in offerta.
Perché il più clamoroso depistaggio della recente storia italiana – quello con più vittime e con meno spiragli di luce – è una sorta di Esposizione Universale dei meccanismi che lo hanno reso impenetrabile. Compresa la clamorosa raccolta dei 2 mila frammenti dell’aereo ripescati a 3500 metri di profondità e incollati l’uno all’altro a ricostruire i 31 metri della fusoliera, dal muso alla coda, compresi i sedili contorti, le ali spezzate, gli oblò. Offrendo a chi visita quel Museo della Memoria, a Bologna, la paradossale sensazione di una penombra riempita con il vuoto di quelle lamiere. Promettendo una spiegazione e insieme la collezione completa e tragica dei frammenti che la nascondono.
Francesco Cossiga, che all’epoca della strage era il presidente del Consiglio, disse quasi trent’anni dopo che erano stati i francesi con “un missile a risonanza”. Versione plausibile, visto che in quei giorni due portaerei, una americana, l’altra francese, incrociavano nel Golfo di Napoli e al largo della Corsica. Gheddafi era un bersaglio di guerra calda, non fredda. Né gli americani, né i francesi hanno mai offerto collaborazione, ma solo il silenzio dei no-comment militari. Salvo che sono stati proprio i francesi – ma guarda la coincidenza – a ottenere l’appalto per il recupero dei resti, con la società Ifremer, legata ai servizi segreti parigini, raccomandata dal nostro capo dei servizi militari, l’ammiraglio Fulvio Martini, a Giuliano Amato, plenipotenziario del governo Craxi. Furono i francesi, nel 1987, a recuperare anche la scatola nera, con quell’ultima sillaba pronunciata dal co-pilota che grida “Gua…”, prima di interrompersi. Sillaba che quarant’anni dopo, grazie ai tecnici di Rainews, che hanno ripulito il nastro, è diventata una frase intera: “Guarda, cos’è?” a segnalare che qualcosa era davvero comparso davanti agli occhi dei piloti. Era la verità dei fatti. Comparsa in quell’istante e poi mai più.