16 giugno 2020
Tags : Barbara Bonansea
Biografia di Barbara Bonansea
Barbara Bonansea, nata a Pinerolo il 13 giugno 1991 (29 anni). Calciatrice. Attaccante della Juventus e della nazionale femminile italiana • «Non è bionda, ha gli occhi azzurri, il cerchietto rosso, e in area si fa notare» (Emanuela Audisio, la Repubblica, 10/6/2019) • «Sta contribuendo a scrivere la storia del calcio femminile italiano» (Naomi Accardi, Rivista 11, 25/6/2019) • «Ambidestra, ala veloce con dribbling e tecnica sopraffina, da almeno 6-7 anni è considerata uno dei migliori talenti del nostro movimento. In nazionale ha esordito nel 2012, a soli 21 anni. A 22, al suo primo anno in una big, il Brescia, segnava 22 gol in Serie A […] Fuori dal campo però resta una ragazza comune, anche perché nel calcio femminile pure i top player guadagnano 30 mila euro (al massimo: c’è il tetto stabilito dalla Figc). Chi la conosce, come ad esempio la ct Milena Bertolini, che l’ha soprannominata “freccia azzurra”, la descrive come una ragazza solare, lunatica, scontrosa e disponibile al contempo. “A tratti un’ira di Dio, a tratti tenerissima”. Un bel caratterino, insomma» (Lorenzo Vendemiale, Il Fatto Quotidiano, 11/6/2019) • Cresciuta nelle giovanili granata, ha giocato con il Torino dal 2006 al 2012 e con il Brescia dal 2012 al 2017, quando è approdata alla Juventus. Ha vinto quattro scudetti (2014, 2016, 2018, 2019), tre Coppe Italia (2015, 2016, 2019), quattro Supercoppe italiane (2014, 2015, 2016, 2019) • È alta 1 metro e 73 • «Aveva iniziato un po’ per scherzo, come tanti. Un calcio al pallone nel cortile di casa insieme al papà e ai fratelli. Poi un giorno, per seguire quella passione, decide di accompagnare il fratello al campo di allenamento a Bicherasio, l’allenatore la vede e le dice: “Non rimanere fuori a guardare, entra in campo”. E in campo dimostra di saperci fare, anche contro i maschi. Da lì la sua strada è stata segnata» (Cristin Cappelletti, Open, 10/6/2019).
Titoli di testa «Sono le tre del pomeriggio quando incontriamo Barbara in uno studio fotografico di Torino, interamente bianco. La luce che entra dalle grandi finestre industriali dà all’ambiente un che di mistico, e solo il suo arrivo su una Mini Countryman rosso fuoco rompe l’atmosfera magica. Barbara saluta tutti, stringe mani, va dritta a prepararsi per la sessione fotografica e con l’andatura dondolante tipica dei calciatori si presenta sul backdrop con un completo da allenamento bianco e nero. Le maniche corte della maglietta rivelano tatuaggi colorati su entrambe le braccia, come ci si aspetterebbe da una sportiva. Mi colpisce, in particolare, una bambola russa sul suo bicipite. “Le matriosche sono le preferite di mia mamma, è un tributo per lei”, spiega con stringatezza ermetica. Si percepisce una certa riservatezza, quella di una donna non ancora abituata ad avere riflettori a illuminarla costantemente, di una ragazza che forse preferirebbe lasciare che il suo dribbling parlasse per lei» (Accardi).
Vita «Padre in pensione, madre che lavora in fabbrica» (Audisio) • Cresciuta a Bricherasio, in provincia di Torino, il classico paesino della provincia italiana, dove si conoscono un po’ tutti. «I miei primi calci al pallone li ho tirati lì, più precisamente nel cortile sotto casa, insieme a mio fratello e a mio padre» • «Avevo tre o quattro anni al massimo, e i miei pomeriggi trascorrevano con gli occhi incollati al prato, attratta da un desiderio fortissimo di giocare, ma ancora muto. Il primo a dargli voce fu l’allenatore di mio fratello: un giorno si avvicinò e mi chiese se non ero stufa di guardare gli altri giocare. Sono entrata in campo e, da allora, nessuno è più riuscito a farmi uscire» (a Chiara Pizzicanti, Vanity Fair, 24/12/2019) • «Mettevo un parastinchi di quelli con la cavigliera integrata, che si usavano una volta, ma anche la misura più piccola tra quelle che si trovavano in commercio mi andava enorme, il piede ci ballava dentro e, a volte, la protezione arrivava quasi alla coscia, impedendomi di piegare per bene il ginocchio. Ero uno scricciolo, un fagottino di vestiti, parastinchi e di capelli, che tenevo lunghissimi e ricci. Mi riconoscevi anche da un chilometro di distanza» • «Cosa ricorda di quell’inizio improbabile? “Era tutto fuori misura. Giocavo con i bambini, l’ho fatto per tutta una stagione senza fare partite perché ero troppo piccola, avevo 8 anni, poi l’anno dopo... in campo. E per la primissima volta ho realizzato che gli altri erano tutti maschi. E che tutti guardavano me. Volevo scappare”» (Giulia Zonca, La Stampa, 10/6/2019) • «Ho puntato i piedi a terra, ho assunto la postura a braccia conserte, tipica di chi non vuol sentir ragioni, e mi sono abbandonata ad un pianto disperato: “Io in campo non ci entro”. Ci ha provato l’allenatore, “In fondo ti sei sempre divertita” diceva, ma niente da fare. Ero una bambina, avevo i capelli lunghi e non potevo neppure essere confusa con gli altri, tutti avrebbero guardato me e quindi no, nessun dubbio: non avrei giocato. Poi, quando ormai gli altri bambini in campo iniziavano a spazientirsi, che la pazienza di un bambino è quanto di più fragile esista, è sceso il mio papà. “Non devi avere paura. Pensa a quando giochi giù in cortile. Fidati: è lo stesso identico gioco”» • «Quando giravo per il paese con il pallone sottobraccio a volte qualcuno provava a togliermelo, “non è roba adatta ad una bambina”, ancor di più se prova a giocare insieme ai maschi. Ho dovuto sentire dei commenti sciocchi, fatti da alcuni genitori presenti alle partite, che troppo spesso nelle giovanili si trasformano in dei veri e propri capi curva, incuranti del fatto che a me, come ad ogni bambina del mondo probabilmente, interessasse solo divertirmi. Curiosamente però un paio di gol mettevano sempre tutti d’accordo» • A scuola Barbara va bene. È brava in matematica, ma prende qualche nota di merito. «Ero chiusa, timida, quasi scontrosa, il calcio mi ha resa felice» • «Già quando ero in seconda media giocavo con gli esordienti ed ero talmente vogliosa (e meritevole) di stare in campo che facevo la partita del sabato, con i pari-età, da attaccante esterno e il giorno seguente invece facevo il terzino per la squadra dei ragazzi più grandi. Ogni weekend, io non aspettavo altro» • Barbara si iscrive al liceo scientifico tecnologico, perché detesta il latino. Ma il calcio resta la sua passione. Il suo idolo è Cristiano Ronaldo. «È iniziato tutto durante l’Europeo del 2004, quando il Portogallo ha perso contro la Grecia e il pianto di Ronaldo mi ha colpito, e mi sono messa a investigare su di lui. All’estero era già famoso, ma io non ne sapevo molto. Quello che ha fatto con il suo corpo e l’impegno che ci mette sono cose uniche» (alla Accardi) • «La Juve era il mio sogno, e anche quello di mio fratello: lui passò il provino in bianconero ma mio padre non poteva accompagnarlo agli allenamenti, troppo lontani. Quindi ha continuato a giocare nella squadra del mio paese, mentre io ho avuto decisamente più fortuna» (ad Alberto Mauro, Il Messaggero, 9/6/2019) • «Dopo aver appreso le basi nel Torino è stata acquistata dal Brescia, e qui ha capito che il calcio sarebbe diventata la sua carriera. “Stare lontana da casa, lasciare famiglia e amici per inseguire una passione… in quel momento ho realizzato che era una cosa seria. Ero pronta per sacrificare la mia vita personale per qualcosa che amavo”» (alla Accardi) • Dal 2012 diventa titolare della nazionale. «Io pensavo solo a giocare a calcio» • «Chissà che smacco per i maschi che la prendevano in giro: dove credi di andare, ragazzina, con quel pallone sotto il braccio? “Delle volte mi chiamavano Barbaro. Allora io li afferravo per il collo e dicevo: chiedimi subito scusa!”» (Piccardi) • «Il 2019 è stato l’anno della svolta per lo sport al femminile, il primo in cui sono arrivati riconoscimenti fondamentali. “La mia vita di tutti i giorni non è cambiata, forse faccio qualche allenamento in più. La mia vita privata è la stessa. Adesso però la gente mi riconosce”» (Pizzicanti) • «Non avrei mai creduto di vedere 40 mila persone per il calcio femminile. Ricordo una rimessa laterale. Ho avuto tempo di guardarmi intorno. E ho visto la gente che faceva la ola per noi. Era bellissimo. Mio padre e mio fratello piangevano commossi» (Scacchi).
Vita privata «Sono appena diventata zia. La mia prima nipote è nata tre giorni fa. Si chiama Benedetta: BB come me. E studio Economia all’università di Torino. Ma faccio schifo (ride) ci sto mettendo troppo a laurearmi. Non è facile conciliare studio e calcio» (Scacchi) • All’inizio si era iscritta a ingegneria, ma mollò la facoltà dopo due esami • «Fidanzata da diversi anni con Daniele Bettoni» (Cappelletti) • «Forse. Qui le fonti non concordano. Mamma Maria Maddalena: “So che si sono lasciati da poco, comunque ora faccia il suo Mondiale tranquilla e poi penserà al ragazzo”. Il fratello Giorgio: “L’abbiamo conosciuto. Calciatore? Ehhh, non dico niente. Vedranno loro se e come farsi conoscere”» (Piccardi, nel 2019).
Battaglie «Penso che gli stipendi dei calciatori sono spesso troppo alti. Personalmente non mi interessano quelle cifre, vorrei semplicemente che le donne venissero riconosciute come professioniste, e quindi pagate il giusto per gli sforzi e i sacrifici che fanno, che spesso sono maggiori di quegli degli uomini».
Curiosità Indossa la maglia numero 11 • Ascolta Ligabue • Le piacciono le serie tivù, i film polizieschi e andare a far compere • «Ha sei tatuaggi (distribuiti tra spalla, polpaccio, braccio, avambraccio)» (Piccardi) • Dice di essere un Gemelli lunatico. «A volte mi viene la faccia antipatica» • Da quando gioca per la Juventus è riuscita a conoscere Cristiano Ronaldo. «Me lo sono trovato davanti e non sapevo cosa dire».
Titoli di coda «Se non avessi giocato a pallone avrei fatto la ballerina».