il Fatto Quotidiano, 16 giugno 2020
Intervista ad Al Bano
“Ranieri ha già detto sì, Morandi è interessato”.
A cosa, Al Bano?
A unire le forze per una canzone che sto ultimando, dedicata alla nostra Mamma Terra violentata dall’umanità. Una sorta di Earth Aid discografico, commissionato dalla Società Italiana Medicina e Ambiente. Vorrei coinvolgere anche i beniamini dei giovani: Rovazzi, Ghali, J-Ax. E ho chiamato la Loren.
Che dice Sophia?
Proverò a convincerla. Ho in mente una parte recitata per la donna e diva che protegge un pianeta fragile. A settembre dovremmo essere operativi.
Lei, Carrisi, proprio non riesce a starsene con le mani in mano.
Qui a Cellino zappo i campi, imbianco i muri. Dopo sessant’anni di viaggi mi godo la compagnia dei figli.
Jasmine è alle prese con la maturità.
E ha realizzato un suo brano, Ego, con tanto di video. Lontano dalla mia idea di musica, ma spacca. Del resto, quando aveva 12 anni Jasmine mi implorò di portarla al concerto di Justin Bieber. Aveva occhi solo per lui. Suo padre era diventato trasparente.
Una gioia dopo tanti dolori. Ora rispuntano voci su Ylenia viva a Santo Domingo.
Sono sciacalli. Va avanti così da sempre. Poco dopo la sua scomparsa l’inviato di un Tg prestigioso sosteneva che io tenessi Ylenia sequestrata in casa per farmi pubblicità. Pretendeva pure di intervistarmi!
No comment, parliamo d’altro… Ricorda il giorno in cui lei, Al Bano, partì in cerca di fortuna?
Era il 5 maggio ’61. Il treno della notte, un vagone stipato di persone con le valigie piene di friselle e focacce. Risento ancora quei profumi. Non chiusi occhio. Volevo imprimermi nella mente le montagne, le città, i binari.
Destinazione Lombardia.
Una settimana a Varese e subito dopo a Milano, in via Giambellino, nel primo ristorante dove lavorai da cameriere. Filavo con una ragazza, il figlio del padrone mi insolentì: “Venite al Nord a fregarci pure le fidanzate”. Gli risposi: “Un giorno sarai tu a dover servire me al tavolo”, e così fu. In un altro locale giravano tipi loschi: ‘Quanto guadagni? Vendi queste bustine’. Era cocaina. Ovviamente rifiutai. Mio padre contadino mi aveva messo sull’avviso.
Poi la fabbrica.
L’Innocenti a Lambrate. Catena di montaggio, settore profilati. Cantavo mentre lavoravo, mi gridavano: “Zitto, terrone”. Un giorno tornai in Puglia su una di quelle Mini Minor. Ero diventato famoso grazie alla cassa integrazione.
Cioè?
Nel periodo di inattività avevo ottenuto un provino con il Clan. Ingaggiato per le stesse serate in cui compariva Celentano. Ma non osavo avvicinarmi a lui: ero troppo timido. Due anni dopo, nel ‘65, Mogol mise un testo italiano su una cosa di Gene Pitney. La mia prima canzone: La strada.
Ne ha fatta molta, da allora. Nel ‘67 il trionfo in tv, a Settevoci con Baudo.
Vinsi quattro puntate, esaurii il repertorio. L’applausometro, che misurava il gradimento del pubblico in studio, andava alle stelle. Pippo mi aveva scoperto grazie al maestro Massara, che mi cambiò il look. Investimmo 50mila lire dell’anticipo della Emi in un negozio di via del Gesù. Una giacca stile 800, nuovi occhiali. Il boom di Nel sole, gli autografi, il Disco per l’Estate.
Il primo concerto all’estero?
In Grecia. Il 6 luglio 1970 c’erano 90mila spettatori in tripudio ad Atene. I colonnelli del regime mi permisero di cantare i brani proibiti di Theodorakis, che inneggiavano alla democrazia.
Al Bano testimonial di speranza.
In Albania nell’89, in un momento in cui il Paese era diviso tra due fazioni, il futuro presidente Topi mi disse dopo un concerto: “Stasera ci hai dato la spinta per la libertà”.
E con gli ucraini ha fatto pace?
L’ambasciatore venne a Cellino quattro anni fa e mi porse le scuse. Io un sobillatore?.
Però Putin…
Con Romina ci esibivamo a Leningrado, era l’86. Venne in albergo, fu gentilissimo. Vladimir era ancora il capo del KGB. A San Silvestro 2004, al Cremlino, lo rividi insieme a Eltsin. Mi colpì un tavolo con i leader religiosi ortodossi, copti, musulmani. Pensai: allora si può.
A proposito: ha cantato sette volte per Wojtyla.
Mi rivolse parole di conforto dopo la sparizione di Ylenia. Tremavo come una foglia mentre leggevo il Vangelo all’alba in Vaticano. Lo sguardo di Giovanni Paolo II metteva soggezione, eppure mi spalancava l’anima. Lo sentivo amico.
Come va con i dinosauri? La sua gaffe è diventata un videogioco.
Uffa, quella dalla Venier era una battuta. Comunque qui vicino, ad Altamura, ci sono le impronte di quei bestioni. Non escludo scoperte.