Ieri il mondo dello spettacolo ha riaperto e Morandi ha voluto dare dalla sua Bologna il calcio d’avvio a una nuova era della musica live. Uno spettacolo con anche tante parole, ma le chiacchiere cambiano, non solo aneddoti sulla Bologna di Dalla e delle osterie, ma una riflessione collettiva su mesi cupi. Del resto non si può ignorare l’elefante nella sala in cui si entra spruzzandosi di gel, un termoscanner sparato in fronte, un tornello in cui la luce verde s’illumina se i dati sanitari sono in regola. Poi in sala posto per 200 persone disperse tra le 999 poltrone, quelle off limits marcate da cartelli e, tra le file, maschere che controllano mascherine. Ma non c’è l’aria grave della rielaborazione del lutto quanto la leggerezza rassicurante che ha sempre accompagnato Morandi. E poi le canzoni, perché c’è voglia di tornare a cantare assieme, non più da una webcam o da un balcone.
Finalmente davanti a un pubblico vero. Quanto conta per lei essere di nuovo qui?
«Pubblico vero, sì, ma visto in che condizioni? Questo è il primo teatro in cui ho cantato, è un posto importante per me, riaprirlo è emozionante, finalmente posso rivedere un po’ di gente. Ci sono state moltissime richieste per lo spettacolo (5000, ndr), non credo solo per vedere Morandi ma perché la gente ha voglia di tornare a teatro, al cinema, ai concerti, anche allo stadio se si potesse».
La musica ha un ruolo centrale nella ripartenza morale e psicologica del paese?
«Una vita senza musica, teatro, non si può. Io ho voglia di ascoltare le persone, invitarle sul palco per capire cosa pensavano in quarantena, di cosa hanno voglia, cosa le ha spinte a tornare qui. Noi artisti però possiamo solo alleviare malinconie, non bastiamo da soli. La famiglia della musica in Italia sono 500 mila persone e tante non possono suonare, lavorare, sono a casa con grossi problemi. Il governo ha fatto qualcosa ma se non si ricomincia a far concerti è dura. Forse non ci si rende conto cosa c’è dietro a uno spettacolo, gli operatori, i tecnici, persone che se non si riparte soffriranno ancora».
Alcuni suoi colleghi dicono che l’ansia in quarantena li ha bloccati, tolto le parole. Lei come ha vissuto questi mesi?
«Non ho scritto nulla di nuovo, ma se dovessi fare una canzone su questo periodo ne scriverei una leggera, la gente di notizie cattive ne ha avute troppe, c’è bisogno di sorridere. Sono immagini a cui non credi le file di camion di Bergamo, l’infermiera sfinita o medici morti sul lavoro. Gli eroi sono loro, a noi spetta il ruolo di sollevare la gente dai pensieri».
Quest’estate farà altri show?
«Se la stagione riparte, ho ancora otto concerti e possiamo aggiungerne altri se c’è richiesta.
Tanto abito qua, basta che mi dicano di passare in teatro e ci sono».