Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  giugno 15 Lunedì calendario

I silenzi dell’Antitrust

Per la Borsa, con l’Ops di Intesa guadagnano gli azionisti di Ubi (+ 41% rispetto agli indici di settore); pressoché inalterati quelli di Intesa e dei concorrenti Bper e Bpm; perdono quelli di Unicredit (-20%). Ma all’Antitrust, che valuta l’offerta, interessa solo che i consumatori non siano danneggiati. Le analisi e i criteri che adotta, tuttavia, appaiono superati dall’evoluzione del mercato bancario, anche perché trascurano i veri elementi propulsivi della concorrenza. Le banche offrono prodotti e servizi omogenei, non differenziabili, e quindi sostanzialmente identici per condizioni e caratteristiche: basta confrontare carte di credito, prestiti, mutui, bonifici online, o fondi di investimento offerti da due banche qualsiasi. Infatti, nessuna banca ha mai perseguito l’espansione con campagne aggressive di prezzo (non potendo differenziare l’offerta) per sottrarre clienti alla concorrenza: non funzionerebbe perché il consumatore non cambia se percepisce omogeneità dei prodotti, né conviene alla banca. Per quest’ultima, acquisire un concorrente è quindi il modo per espandere la clientela. Per il consumatore l’acquisizione cambia poco o nulla. Perché allora Intesa sborsa miliardi per Ubi? Non per sfruttare i clienti acquisiti, ma per realizzare economie di scala, anche grazie alla tecnologia, e abbattere i costi. La convenienza viene da qui.
Un’analisi debole
L’analisi dell’Antitrust si basa su fondamenta deboli perché la relazione tra numerosità delle banche e interessi del consumatore è debole. E i tipici rimedi richiesti (come gli sportelli da cedere) cambiano poco o nulla. L’Antitrust sembra invece ignorare che oggi la concorrenza nei servizi bancari viene prevalentemente da attori esterni: asset manager indipendenti, come Azimut o Banca Generali; piattaforme online, come MutuiOnline; credito al consumo, come Compass o quello delle case automobilistiche; fornitori di sistemi di pagamento, come Nexi o Sia. Sorprende quindi il silenzio dell’Antitrust sulla prospettata fusione tra quest’ultime due (a guida pubblica) per creare un campione nazionale che acquisirebbe una posizione dominante nel segmento dei servizi bancari a più forte espansione e valore aggiunto. Non certo nell’interesse dei consumatori.

La politica dei campioni nazionali
Una tendenza, quella delle posizioni dominanti a guida pubblica, che si sta allargando. È la politica dei campioni nazionali. Stato ed enti locali, direttamente e indirettamente, hanno una posizione dominante nella produzione, trasporto e distribuzione delle fonti energetiche; nella gestione degli aeroporti; nel trasporto su rotaia; nel mercato pubblicitario (il canone Rai riduce la concorrenza); nelle torri di trasmissione, con RaiWay che si potrebbe fondere con EiTowers (dove Cdp e le Fondazioni controllano la controllante F2i Sgr); nelle autostrade (dove il pubblico controlla diverse tratte) se Cdp entrasse in Aspi; nel trasporto aereo, con le agevolazioni ad Alitalia distorsive della concorrenza; e nella banda larga con la possibile fusione tra OpenFiber e la rete di Tim. Ma per finanziare gli investimenti nei settori “strategici” per il Paese, c’è bisogno di tariffe elevate. Così, i consumatori vengono sacrificati sull’altare dei campioni nazionali. Una scelta politica, legittima. La verità però è che all’azionista pubblico, quale che sia, interessano i dividendi elevati, in molti casi una fonte essenziale di entrate. Pagare per pagare, si dirà, meglio se i dividendi vanno allo Stato invece che ai privati. Se però con il privato una regolamentazione efficace potrebbe tutelare il consumatore, diventa impossibile quando lo Stato azionista regola sé stesso. Tant’è che i fondi corrono a investire nelle società se c’è un azionista pubblico alla guida: è la migliore garanzia di tariffe e profitti generosi. Che ne pensa l’Antitrust?