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 2020  giugno 15 Lunedì calendario

Intervista a Gué Pequeno

«Questo album è il mio kolossal». Non c’è solo egotrip nelle parole di Gué Pequeno. «Mr. Fini», nuovo album che esce il 26 giugno, è una sfida alla scena rap italiana: il mondo gangsta si può raccontare anche con sfumature personali che rendono meno scontato l’immaginario macho-soldi-droga e con suoni meno da computerino e cameretta. 

«Mr. Fini». Usa il cognome perché è autobiografico? 
«No. Da tempo pensavo di usarlo in un titolo, come Lil Wayne con la saga “Tha Carter”: dà importanza. Ben diverso dal disco personale con il nome tipo “Mauro”... roba da loser, da perdente». 
Lei è un cinefilo. Che film le fa venire in mente? 
«C’è dentro lo Scorsese di The Irishman, per la lunghezza, e Casinò, per l’amarezza. Ma anche i film con Jason Statham e quelli di mafia. È cinematografico nel raccontare la parabola di un protagonista, dalla prima canzone che ci mostra un personaggio in stile Ray Liotta di Goodfellasall’ultima che ce ne mostra la paranoia». 
Sulla copertina è in abito bianco e accarezza un gatto: cita Adolfo Celi in 007? 
«Certamente. Don Vito nel Padrino, il dottor Male di Austin Powers, nel cartoon dell’ispettore Gadget: il gatto è simbolo di potere gangsta». 
Lei ce l’ha un gatto? 
«Da piccolo Alì, era grassissimo. Adesso non è che li ami molto... Quello della foto sentiva l’ostilità». 
Nei suoni ha abbandonato la trap di cui è stato uno degli importatori. E anche l’autotune è quasi sparito... 
«Ho cercato di avere un suono senza tempo e ispirato da tutti tempi: anni 80, il reggae, anni 90. Non è un disco di tendenza, non volevo fare quello che fanno tutti». 
Con «Sinatra» del 2018 sembrava fare la gara con i ragazzini emergenti della trap. Voleva vincere facile? 
«Quel disco fotografava un momento storico, era ludico. Questo vuole rimanere». 
Maturo? 
«Artisticamente e tecnicamente sì. È in parte cupo perché riflette cose vissute negli ultimi anni. Ci sono temi più meditati rispetto al passato e nemmeno un episodio trash. Non arriverei a definirlo elegante, restano temi vietati ai minori di 14, ma sobrio sì». 
L’hip hop cresce anagraficamente, sia per l’età del pubblico che dei protagonisti. A dicembre lei ne fa 40... 
«È giusto che ci sia una trap fatta da e per bambini e un rap fatto da figure storiche per un pubblico adulto. Il bello di crescere, non direi invecchiare, è anche questo. Qui esprimo ciò che sono». 
«Il tipo» campiona «L’ultimo bacio» di Carmen Consoli. Mondi lontanissimi... 
«Non ci sono temi offensivi nelle rime. Carmen è una stilosa e ha approvato». 
In «Stanza 106» il protagonista dice di avere cervello e una parte intima in concorrenza... 
«È l’eterno confronto fra razionalità e passione». 
È il segnale che è pronto a mettere a posto la testa? 
«Non ancora... Amo fare musica e viaggiare. Non penso alla sfera personale». 
Ci sono molte citazioni geografiche. A partire dalla «Saigon» del primo singolo in arrivo. 
«Sono sempre in mezzo fra una borsa da disfare e una da fare. Passo l’inverno in Sudamerica. Mai come durante il Covid sono stato fermo». 
Lei vive a Lugano. Come è stato il lockdown elvetico? 
«Il mese di chiusura mi ha quasi depresso... Per fortuna hanno riaperto subito. Ho sfruttato molto il lago e la natura. Ho letto moltissimo: Buzzati, Chandler, I diari dell’eroina di Nikki Six. Ho anche scritto un soggetto per una serie tv su teenager cattivi, ma non necessariamente storie di strada». 
Ispirazione musicale? Un pezzo a tema coronavirus? 
«Che retorica... roba da serie c. Tirare dentro l’attualità nelle canzoni è un modo per attirare l’attenzione. E vista la drammaticità della situazione, non mi sembra il caso di strumentalizzare. Come accade con black lives matter: vedo influencer che non hanno nulla a che fare con la black culture sfilare per George Floyd. Lo fanno per farsi ripostare sui social. In Italia il tema è meno sentito». 
L’Italia è razzista? 
«Lo si capisce dai cori allo stadio... Semplificando il discorso: in Italia il calcio è tutto, le tifoserie sono a destra, non c’è quindi da stupirsi dei risultati di Salvini. Non avremo mai un rapper nero al numero 1. Ghali è un fake. Appartiene all’universo fashion: non sarà mai un idolo del mondo di colore». 
Oggi esce l’app «Mr. Fini – The Experience»... 
«Non sono uno tecnologico, per nulla, ma questa app offre ai fan una serie di spoiler sui contenuti del disco in un ambiente interattivo».