Corriere della Sera, 14 giugno 2020
Su "Alice e le regole del bosco" di Simone Feder (Mondadori)
Alice sta studiando per la maturità. Ha appena superato l’adolescenza. Vent’anni compiuti adesso. Riavvolge il nastro della sua vita. È stata una ragazza dello «zoo» di Rogoredo: primo buco di eroina a quindici anni, il 16 luglio 2015. Il Corriere della Seral’aveva intervistata tempo fa, ne è nato un libro che esce martedì. «Le regole del bosco», si chiama, dove quel bosco, alla periferia Sud-est di Milano, era la più grande piazza di spaccio del Nord Italia. Centinaia di persone a ogni ora del giorno e della notte sparivano nel verde, sotto il cavalcavia, per iniettarsi la dose. L’anno scorso è stato ripulito ma da una parte, verso la tangenziale, il lugubre e mortifero via vai sta tornando.
Alice ci prende per mano e ci porta dentro. All’inizio, la sua storia racconta il bivio fatale. L’ultimo attimo in cui sei ancora libero di scegliere tra la vita e l’eroina. Subito dopo sei preso all’amo. «Ti frega l’idea del paradiso istantaneo. Perdi il controllo, vai in scoppia». Alice diventa così una sorta di Caronte che ci traghetta agli inferi: «Se decidi di entrare nel bosco, devi abbandonare un sacco di cose. Prima di tutto la paura — si legge nel libro —. Ti avventuri tra le sterpaglie, cammini come uno zombie in mezzo ad altri zombie. Non è un bosco come gli altri, lo si capisce da ciò che c’è per terra. Non solo spazzatura, anche persone». La droga rende vitrei gli occhi, annulla l’identità: «Nessuno parla, tutti hanno fretta di andare dove stanno andando. Se sei un ragazzo del bosco fuori non sei più niente, non vali più niente».
Alice scrive con la penna dell’educatore e già giudice onorario del Tribunale per i minorenni Simone Feder — l’unico che è riuscito ad accompagnarla fuori dalla dipendenza, mentre i genitori sono stati tenuti all’oscuro di tutto. «Ci tengo a fare sapere che questo libro racchiude solo la verità. Descrive vicende crude che provocheranno emozioni forti, contrastanti, faticose da gestire. Un intreccio di vite che si sono ritrovate al bosco e sono rimaste incastrate lì, paralizzate nell’automatismo della dose. Sono persone lasciate ai margini di una società che non riesce ad aiutare e preferisce invece nascondere», accusa.
C’è, a un certo punto del libro, una mamma inconsolabile che arriva in via Sant’Arialdo brandendo delle foto («Come si entra? Ho perso mio figlio …») e persino la storia (vera) di una donna che dentro al boschetto, vicino alla pesa, partorisce. Ma oltre alla disperazione «c’è anche la speranza rappresentata dalla mano di chi invece apre veramente gli occhi e con coraggio si avvicina, senza giudizio e con pazienza, a quei ragazzi che si sviliscono, convinti di non avere più speranze».
Il primo passo verso la droga è un incontro a scuola. Alice conosce Samu, un compagno che fuma eroina. Fa in tempo a innamorarsene, mentre lui scivola ancora più in basso: «Un giorno ha tirato fuori la spada e senza annunci si è bucato per la prima volta — si legge —. La sua famiglia è come la mia: i genitori che sgobbano e a fine mese devono farsi i conti in tasca, la sorellina che gli corre incontro, la mamma che si preoccupa». La deriva arriva lenta, all’inizio. «Non sono mica scema, lo so benissimo che il buco è il rischio quando si inizia a fumare la roba (…). È difficile starci dentro e cercare di avere una vita normale, ma io mi sono data regole precise: non fumo più di tre volte a settimana, weekend inclusi, se no mi sale una scimmia che addio (…). Ho deciso che la roba non andrà a intaccare le mie giornate e manterrò le apparenze. Prima di tutto con i miei, e poi con la scuola». Segue invece il primo buco, insieme a Samu, durante una notte triste, in motel. Un po’ oltre: «Io ho voglia di farmi, chiaro che ce l’ho, ma non arrivo al livello di strisciare al bosco alle sei di mattina perché se ci dormo su mi sveglio in scoppia». È la tappa successiva, l’amica Daria prova a gridarglielo, lei non vuole reagire. Alla fine: «Mi faccio tutti i giorni, e anche più volte al giorno, perché tra una dose e l’altra sto male. Me ne frego di tutto. Giù ai bagni di Rogoredo ci sono le scale, mi accuccio. La gente non mi vede».
A distanza di due anni, è una persona diversa. La conquista più grande, Alice? «Essere grata a me stessa e credere che dopo la maturità, con il mio lavoro, potrò aiutare gli altri». Ma cosa ti ha risucchiato nel pozzo? «Tristezza, curiosità, voglia di trasgredire. Il disagio di ogni adolescente. E l’incoscienza. Non sapevo davvero a cosa stavo andando incontro. Uscirne non è impossibile, ma ci vogliono tanta determinazione e pazienza per recuperare la forza di volontà che ti rende di nuovo persona libera».