la Repubblica, 14 giugno 2020
A che punto è la sperimentazione del vaccino
Si chiama vaccino di Oxford, ma per ottenerlo si sta muovendo il mondo. Gran Bretagna e Brasile lo stanno somministrando ai volontari per capire se funziona. Prima ancora di avere dati sull’efficacia, uno stabilimento è al lavoro in Gran Bretagna, un altro è pronto negli Stati Uniti e in Italia l’Irbm di Pomezia lavora alla produzione delle dosi sperimentali. I contratti nel frattempo si accumulano sulla scrivania di Pascal Soriot, amministratore delegato di AstraZeneca, l’azienda che si occuperà della fabbricazione su larga scala del vaccino messo a punto dagli scienziati di Oxford. Il colosso farmaceutico promette 200 milioni di dosi per la fine dell’anno e 2,1 miliardi entro i primi mesi del 2021. «Facciamo tutto in parallelo per comprimere i tempi. Il rischio finanziario è enorme. Se il vaccino non funziona, butteremo tutto» dice Soriot.
Già, il vaccino funziona? Sembrerebbe la domanda fondamentale, ma la realtà è che ancora non lo sappiamo con certezza. I risultati della fase uno della sperimentazione, condotta su mille volontari da aprile per mettere in luce gli effetti collaterali, saranno pubblicati entro giugno. Finora non sono emersi rischi: il vaccino sembra sicuro. Sull’efficacia, però, a oggi possiamo interrogare solo i macachi, anche loro vaccinati poi sottoposti a dosi abbondanti di coronavirus. Il bicchiere mezzo pieno è che non hanno avuto polmoniti, solo raffreddore. Il bicchiere mezzo vuoto è che i macachi continuavano ad albergare il coronavirus nelle vie respiratorie. Pur non ammalandosi in modo grave, restavano in grado di infettare. Se questi risultati fossero confermati negli uomini, il vaccino di Oxford sarebbe un aiuto prezioso, ma non metterebbe fine alla pandemia. «Può darsi che noi saremo i primi, ma poi arriveranno altri vaccini a completare la strategia» prevede lo stesso Soriot.
Ma può darsi anche, per paradosso, che alla domanda “quanto funziona” non avremo ancora una risposta chiara quando in autunno le prime fiale usciranno dalle fabbriche. Il 22 maggio, nell’annunciare la seconda fase di sperimentazione su 10 mila volontari (inclusi bambini fra 5 e 12 anni e adulti sopra ai 55), Oxford ha ammesso: “Se la trasmissione del virus resta sostenuta, otterremo i dati sull’efficacia in un paio di mesi. Ma se la trasmissione si riduce, potrebbero servire sei mesi”. Senza coronavirus in giro è infatti impossibile distinguere se i volontari restano sani per merito del vaccino o semplicemente per il riflusso dell’epidemia. Per questo sia i cinesi di Sinovac che Oxford hanno iniziato i test in Brasile, dove l’epidemia è rampante. E gli inglesi aggiungeranno alle sperimentazioni 30 mila volontari negli Usa, per arrivare a 50-60 mila. «Cifra sufficiente – sostiene Soriot – per parlare di un vaccino sicuro».
Stipulare contratti, insomma, non è la parte più dura del lavoro. Soriot riassume gli accordi: «Cento milioni di dosi alla Gran Bretagna, 300 milioni agli Stati Uniti, 400 milioni all’Europa, 700 milioni a Cepi e Gavi». Che sono organizzazioni non profit per aiutare i paesi poveri. L’India ha la licenza per produrre un altro miliardo di fiale. «Le venderemo a tutti al prezzo di costo» dice Soriot.
Nell’emergenza il totale dovrebbe restare ben al di sotto di 10 euro. «Ai governi chiediamo la condivisione del rischio». In Europa il grosso della produzione sarà affidato a Olanda e Italia. «I vaccini saranno consegnati ai governi. Come distribuirli, sarà una loro scelta» spiega l’amministratore di AstraZeneca.
Ma anche la fabbricazione, su questa scala, resta un’impresa senza precedenti. Il vaccino di Oxford è fatto con un adenovirus di scimpanzé che viene reso inoffensivo. Il virus è iniettato nel braccio ed entra nelle nostre cellule. Lì attiva il suo Dna, nel quale gli scienziati hanno inserito una parte aggiuntiva, che ordina alla cellula di produrre un frammento del coronavirus: la spike, o punta della corona. La spike dovrebbe attivare il sistema immunitario e insegnargli a difendersi dal coronavirus intero, in caso di infezione. Metodi simili sono stati usati per i vaccini contro la Sars nel 2003 ed Ebola nel 2016, ma in tutto il mondo ne sono state prodotte poche migliaia di dosi. Arrivare a oltre due miliardi fa parte dell’impresa. E delle domande cui ancora dare risposta.