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 2020  giugno 14 Domenica calendario

Intervista a Giulio Tremonti

Professor Giulio Tremonti, cosa sta accadendo?
«Homo homini virus: è questa l’ipermoderna variante dell’antico homo homini lupus. La mascherina: non si sa quanto durerà l’obbligo legale di portarla o quanto sarà forte l’istinto di usarla. In ogni caso la mascherina è l’odierno simbolo del salto d’epoca che stiamo vedendo e vivendo. Una variante rispetto alla normalità che fa leva sulla coppia contemporanea della natura che è tornata con il virus e della paura che ne deriva. Una dimensione che ci rende alieni a noi stessi e agli altri. Nel mondo di Hobbes, nel mondo dei lupi, l’uomo si unisce agli altri per reciproco timore. Oggi, sempre per paura, è l’opposto: non ci si unisce, ma ci si aliena dagli altri e da se stessi. E tutto questo, finché dura, indica più di ogni altro indicatore statistico ed economico la rottura che si è creata nel meccano, prima automatico e positivo, della globalizzazione». 
Lo scorso marzo, sul Financial Times, è apparso un articolo in cui si sosteneva che «la pandemia di coronavirus rappresenta una tragedia umana di proporzioni potenzialmente bibliche». È davvero così?
«Certamente è una tragedia, e certamente una tragedia umana, ma come tale pur tragica di dimensioni non bibliche. Di biblico c’è semmai altro: la pandemia ha causato – e causa una cascata di fenomeni vastissimi sul piano sociale, economico, politico e geopolitico. Se proprio si vuole fare riferimento alle Scritture, possiamo notare che queste sono un enorme e profondo magazzino di leggende e di miti: il paradiso perduto, il diluvio universale, ma soprattutto, guardando a quello che succede dentro la globalizzazione, nella Genesi c’è la Torre di Babele: Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole. Non dice nulla proprio questo a proposito del pensiero unico e, di riflesso, a proposito della lingua unica, tutto questo la quintessenza della globalizzazione integrale, come è stata fino alla pandemia? La globalizzazione è il mito dell’uomo che si fabbrica il cielo in terra e con questo, elevando la torre verso il cielo, sfida Dio. Proprio quello della torre di Babele è il mito che, attualizzato, ha più rapporto con la crisi della globalizzazione integrale. Ad un certo punto, però, il sogno di fabbricare il cielo in terra finisce, il Signore scende e, togliendo la lingua unica, sostituita con la confusione delle lingue di Babele, interrompe l’utopia globale».

Qual è l’alternativa a questo tipo di globalizzazione?
«Per come vedo e sento, il mondo che verrà sarà, piuttosto che globale come nell’utopia, inter-nazionale. Un mondo che non esclude i rapporti con gli Stati, ma che ne fa vivere la dimensione nazionale e lasciando alle persone la dimensione individuale e spirituale, come è stato fino alla fine di quest’ultimo secolo».
Se da una parte è vero che c’è grande confusione in tutto il mondo, dall’altra è altrettanto vero che il caos regna sovrano soprattutto in Italia
«Nel nostro Paese è la somma che non fa il totale, o piuttosto è la somma delle cose negative che supera il totale. È evidente che qualcosa manca nella dimensione civile e politica del nostro Paese».
Molti hanno paragonato l’attuale situazione a quella del Dopoguerra. È davvero così?
«Oggi non è forse più di moda considerare la storia come magistra vitae. Si tende a dimenticare che, nel nostro dopoguerra, Togliatti è stato vicepresidente del Consiglio e ministro della Giustizia, Einaudi vicepresidente del Consiglio e ministro del Bilancio e con loro tanti altri, a partire da Nenni. A quell’altezza di tempo, il luogo politico per eccellenza era il governo e non altro. Guerra per guerra, leggiamo Five days in London, il libro sui cinque giorni che hanno cambiato il corso della storia. È Churchill che chiama nel governo i laburisti di Attlee. Sono queste memorie e storie arcaiche? In Germania, quando, ai primi dello scorso decennio, sono emersi gli enormi costi economici e sociali derivanti dall’unificazione successiva alla fine della Guerra fredda, per superarli si è fatta la Grande coalizione, ovvero un governo fatto insieme da popolari e socialisti. Un governo che c’è ancora».
Dall’Ue è arrivato il Recovery fund. Qual è il suo giudizio?
«Si spera che il Recovery fund sia l’equivalente della manna nella Bibbia. Si dice che il diavolo sta nei dettagli, ma è tuttavia vero che a Bruxelles ci sono più dettagli che diavoli. La Merkel sarà anche diventata una brava diavolaccia, ma le strutture europee restano». 
Non c’è dunque da fidarsi di Bruxelles?
«L’idea degli eurobond è certamente positiva e mi permetto di notare che li ho proposti anche io (e Prodi li ha bocciati) nel semestre italiano del 2003 e poi ancora nel 2010 con Juncker, sul Financial Times. Ricordo di avere detto in Parlamento, parlando di eurobond e citando Hamilton: Con una piccola quantità di denaro fonderemo una grande nazione. Il fatto che a Bruxelles se ne parli è positivo per il futuro dell’Europa. Lo stesso riguarda la Web Tax europea, la giusta imposta europea sulla rete. Ricordo che nel 1994 presentammo a Bruxelles il nostro Libro bianco sulla riforma fiscale e qui uno dei principi era passare dalle persone alle cose. Oggi tassare con una giusta imposta le cose che circolano sulla rete è positivo». 
A proposito di 1994, cosa è cambiato da allora?
«Le posso citare alcuni tratti differenziali fondamentali: certamente Berlusconi rappresentò l’avvento di una politica nuova, ma questa era una politica che veniva dopo che c’era già stato il crollo di quella vecchia ed era, quella del 1994, una politica che si presentava senza che prima ci fosse stata una vera crisi economica o sociale. Forse c’era stata una flessione marginale del Pil, ma fondamentalmente l’atmosfera che si respirava era fortemente positiva, quindi aperta verso una nuova politica che si presentava con novità e con forza. Se posso, non vedo in giro figure carismatiche come quella che c’era allora». 
Qual è stato il momento zero in cui l’Europa è cambiata?
«Si dice che nel 2012, con il whatever it takes, è stato salvato l’euro, anzi che è stata salvata l’Europa. Quanto è stato fatto nel 2012 è stato giusto. Ma giusto come un intervento da pronto soccorso. In realtà è seguita una degenza lunga otto anni, con la finanza che ha iniziato a oppiare la politica. Una prova di questo? Quante riforme ci sono state in questi anni in Europa? Nessuna. Ai governi conveniva infatti consumare oppio politico e alla Bce coltivare e produrre oppio monetario. Nel frattempo, l’asse del potere ruotava dai governi e dalla politica alla Bce e da questa, più debole della Fed, al mercato monetario». 
Come uscire dalla crisi in cui l’Italia si è venuta a trovare?
«Ci sono due vie: o Camaldoli o elezioni. Camaldoli è stato il luogo in cui il mondo cattolico si è aperto agli altri e diversi mondi della politica. A Camaldoli Aldo Moro figurava come giornalista. Era ancora tempo di clandestinità. Alla Costituente, Moro, nell’alternativa tra Parlamento e popolo, esclude che un Parlamento possa sopravvivere in assenza di popolo, chiuso in se stesso e lontano dal popolo. Se popolo e Parlamento non coincidono nella rappresentanza e soprattutto nella realtà, se non c’è unità, non c’è alternativa alle elezioni».