Il Sole 24 Ore, 14 giugno 2020
Le donne del Grand Tour
Lungo tutta l’età moderna il Grand Tour, il viaggio italiano di formazione, fu un’importante istituzione culturale europea. I nobili e ricchi inglesi gli diedero forma e significato, ma presto si estese anche a francesi, tedeschi, olandesi, russi.
Nella seconda metà del Settecento il Grand Tour è al suo culmine (40mila viaggiatori l’anno) e tuttavia già comincia a trasformarsi. Per cominciare cambiano le coordinate geografiche. Napoli non è più l’estremo limite meridionale degli itinerari, quanto piuttosto una finestra aperta su un nuovo mondo (secondo Goethe, la finestra della casa dell’ambasciatore inglese presso la Corte di Napoli, sir William Hamilton, aveva la più bella vista di tutta Europa).
Lo sguardo dei viaggiatori si spinge ormai verso la Sicilia, la Grecia di Byron, il Mediterraneo sino alla costa settentrionale dell’Africa. Sono i primi segni di quella Passione del sud che John Pemble ha magistralmente raccontato e che dominerà gli orizzonti dei viaggiatori inglesi nel «lungo Ottocento».
In quello stesso giro d’anni il Grand Tour si misura con la forzata interruzione imposta dalle guerre napoleoniche. E alla ripresa, nel nuovo mondo della Restaurazione e della Rivoluzione industriale, in pochi anni il nascente turismo rivoluziona il viaggio, infrangendo barriere spaziali e di classe con la forza della locomotiva.
L’altra grande novità è la crescente presenza di donne tra le fila dei viaggiatori. Come mostrano bene Attilio Brilli e Simonetta Neri, non è più una presenza clandestina, occasionale, magari sotto forma di accompagnatrici. Certo queste viaggiatrici sono ancora nobili, ricche, intellettuali: bisogna attendere Thomas Cook (1845) e il turismo organizzato perché il viaggio si schiuda pienamente alle donne, a prescindere dalla loro estrazione sociale. Ma hanno già una loro voce originale e distinguibile, interessi e punti di vista propri. Si ribellano a un’educazione – o piuttosto alla sua mancanza – che le condanna all’inerzia di mente e corpo sino al matrimonio, più spesso subito che scelto. Combattono coraggiosamente resistenze consolidate, se ancora nel 1795 il tedesco Franz Posselt, nel suo manuale, mette le donne in guardia dai pericoli del viaggio, non solo quelli materiali, quanto piuttosto l’eccessiva sollecitazione immaginativa e sentimentale che può provocare.
Queste viaggiatrici portano nel Grand Tour una maggiore apertura mentale rispetto agli stereotipi imperanti, una disponibilità all’ascolto e una più ampia varietà d’interessi che va ben oltre le memorie dell’antichità classica. Mary Shelley, l’autrice di Frankestein, invita senza remore a mescolarsi all’Italia reale e a condividere la vita della sua gente. I loro racconti di viaggio si rivolgono a un pubblico più ampio rispetto alla tradizionale cerchia familiare, sfruttando tutte le possibilità offerte dall’industria editoriale. Per esempio Marianna Starke, con le sue Lettere dall’Italia (1800), in largo anticipo rispetto ai più celebrati autori di guide turistiche (Baedeker, Murray), mette a disposizione dei nuovi viaggiatori borghesi – maestrine di scuola, panciuti ministri del culto, impiegati in giacca di tweed – tutte le informazioni pratiche (itinerari, mezzi di trasporto pubblico, stazioni di posta, locande ecc.) necessarie per percorrere in tutta sicurezza le vie d’Italia.
Il viaggio è anche occasione per marcare una svolta nella propria vita, per disegnare un futuro diverso. La ricca vedova Hester Trale parte per lasciarsi alle spalle le maldicenze fiorite intorno al suo matrimonio con Gabriele Piozzi, il maestro di musica italiano delle sue quattro figlie. Elisabeth Vigée Le Brun, pittrice di corte e autrice di un celebre ritratto della regina Maria Antonietta, coglie l’ultimo momento utile per fuggire dalla Francia rivoluzionaria. Senza lasciarsi abbattere dalle circostanze, in Italia, in stretto dialogo con i maggiori artisti del passato e del suo tempo, riesce a rilanciare la sua carriera rivolgendosi a una nuova committenza. A Firenze, in un celebre autoritratto, si mostra in un atteggiamento libero e creativo, tavolozza e pennelli in una mano, lo sguardo fieramente rivolto verso il pubblico.
Sempre in viaggio Elizabeth Webster prende in mano le redini della propria esistenza, sino ad allora imprigionata in un infelice matrimonio di convenienza. E quando in una locanda di posta dell’Appennino modenese, nel 1796, si accorge di essere incinta del suo amante e futuro marito, Lord Holland, non esita a simulare teatralmente la malattia e la morte della figlia per evitare che le sia tolta a seguito dell’inevitabile divorzio.
Anche attraverso le donne, una nuova sensibilità s’insinua nel razionale ordito del viaggio italiano, costruito secondo le rigide classificazioni del filosofo Francesco Bacone. Un buon esempio è il diario di viaggio di Elisa von der Recke, sedotta da Cagliostro e in corrispondenza con Giacomo Casanova, o la musa malinconica di Anna Jameson. La via è aperta per il personaggio di Corinne, protagonista dell’omonimo, fortunato romanzo di Madame de Staël (1807).
Il libro è efficace, puntuale, divertente. È l’ultimo tassello nella straordinaria produzione intellettuale di Attilio Brilli, lo studioso che più di ogni altro ha gettato luce sulla lunga e articolata vicenda del viaggio in Italia, tra dimensione materiale e tradizione culturale. Lo scorso anno, nella sua Arezzo, invitai Brilli a tenere una lezione serale ai miei allievi. Fu come sempre lucido, efficace, divertente. Mi chiese tuttavia di ritirarsi presto, richiesta che mi sembrò ragionevole in chi ha passato da tempo gli ottant’anni. Scoprì poi che intendeva mettersi alla guida della sua auto e partire nella notte con i nipoti verso il mare. Un piccolo evento per un viaggiatore immobile, saldamente radicato in Toscana e abituato a viaggiare solo attraverso le pagine dei libri...