La Stampa, 14 giugno 2020
I nudi cinesi di Ren Hang
Un corpo nudo in cinese ha una sola traduzione: porno. Parola secca a cui abbinare una definizione brutale, senza nessuna sfumatura, interpretazione, ruolo o gioco. Sotto i vestiti il proibito e mostrarlo è semplicemente un’offesa. Ma a Prato, città con la terza comunità cinese più grande in Europa, dopo Londra e Parigi, c’è un bacio fresco e schietto, privo di indumenti, c’è una donna coperta solo da un cigno, gambe e braccia intrecciate: novanta esplicite fotografie. Per noi arte, per altre culture uno strappo.
Il centro Pecci ha appena inaugurato «Nudi», di Ren Hang, un poeta dell’immagine che ha contrastato un tabù, scardinato la sacralità del lecito e tolto strati e alibi a un Paese che, spesso, sfrutta la tradizione millenaria e l’anima comunista per negare l’evidenza. Ren Hang ha scelto un punto di vista intimo e privato, senza alcun desiderio di offendere, deciso a far emergere il senso del naturale. Via gli abiti e le convenzioni, via il pudore che ognuno ha il diritto di coniugare come crede, però via pure le sovrastrutture, le messe in scena, le forzature. In cerca di quello che è spontaneo, non artefatto. Così ha scrostato reazioni ricoperte da consuetudini nate proprio per essere ripetute, sempre uguali, a costo di deviare il senso e alterare la normalità.
Ren Hang cercava libertà per sé e per la sua generazione: è morto nel 2017, prima di compiere trent’anni, suicida, stravolto dalla fatica di confrontarsi con visioni che parevano istintive solo a lui. Sfiancato da una depressione che è diventata insostenibile proprio nel pieno della fama. Eppure è riuscito a trainare altri artisti, a modificare il panorama e ora, a Prato, germogliano le sue idee.
Osteggiato e censurato non ha mai lasciato la Cina, se ne è sempre sentito fortemente parte. Gli interessava far circolare nuova aria, non respirarne una diversa, sentiva crescere punti interrogativi intorno a lui, esigenze di ragazzi senza i riferimenti necessari per affrontare i propri dubbi. Ha offerto uno sguardo, bollato come scandaloso. Sostenuto da Ai Weiwei ha continuato a lavorare in patria e ha iniziato a esporre all’estero: Amsterdam, Stoccolma, quando è morto aveva due personali in circolazione, era realizzato, comprato, un nome del fermento cinese e uno squarcio negli obblighi. Con lui il rispetto e la devozione alle usanze hanno smesso di combaciare.
Al Centro Pecci, i visitatori osservano inediti nudi, molti di loro sono di origine cinese. L’incrocio di Prato è fondamentale perché la migrazione dall’Oriente gira intorno alla manodopera. Un processo che ha visto il culmine tra gli anni Ottanta e i Novanta, molti sono partiti dall’Asia prima di tante evoluzioni, sono vincolati a un tracciato che probabilmente non è più lo stesso e ora sono testimoni di questa rivoluzione. Non si lasciano distrarre facilmente, assorbiti da una routine che li ha fatti cambiare mondo e si è poi trasformata in ragione d’essere. Un pezzo della terra che hanno lasciato però è arrivato fino a qui e non è come la ricordavano. C’è una donna che fa capriole senza nulla addosso, un uomo mimetizzato tra le farfalle e un pavone appollaiato sopra un seno. L’immagine è persino diventata un filtro Instagram, per farsi una foto alla maniera di Ren Hang, non nudi, ma immersi in un’altra realtà. Per ora nessun cinese lo ha usato. —
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GIULIA ZONCA
Un corpo nudo in cinese ha una sola traduzione: porno. Parola secca a cui abbinare una definizione brutale, senza nessuna sfumatura, interpretazione, ruolo o gioco. Sotto i vestiti il proibito e mostrarlo è semplicemente un’offesa. Ma a Prato, città con la terza comunità cinese più grande in Europa, dopo Londra e Parigi, c’è un bacio fresco e schietto, privo di indumenti, c’è una donna coperta solo da un cigno, gambe e braccia intrecciate: novanta esplicite fotografie. Per noi arte, per altre culture uno strappo.
Il centro Pecci ha appena inaugurato «Nudi», di Ren Hang, un poeta dell’immagine che ha contrastato un tabù, scardinato la sacralità del lecito e tolto strati e alibi a un Paese che, spesso, sfrutta la tradizione millenaria e l’anima comunista per negare l’evidenza. Ren Hang ha scelto un punto di vista intimo e privato, senza alcun desiderio di offendere, deciso a far emergere il senso del naturale. Via gli abiti e le convenzioni, via il pudore che ognuno ha il diritto di coniugare come crede, però via pure le sovrastrutture, le messe in scena, le forzature. In cerca di quello che è spontaneo, non artefatto. Così ha scrostato reazioni ricoperte da consuetudini nate proprio per essere ripetute, sempre uguali, a costo di deviare il senso e alterare la normalità.
Ren Hang cercava libertà per sé e per la sua generazione: è morto nel 2017, prima di compiere trent’anni, suicida, stravolto dalla fatica di confrontarsi con visioni che parevano istintive solo a lui. Sfiancato da una depressione che è diventata insostenibile proprio nel pieno della fama. Eppure è riuscito a trainare altri artisti, a modificare il panorama e ora, a Prato, germogliano le sue idee.
Osteggiato e censurato non ha mai lasciato la Cina, se ne è sempre sentito fortemente parte. Gli interessava far circolare nuova aria, non respirarne una diversa, sentiva crescere punti interrogativi intorno a lui, esigenze di ragazzi senza i riferimenti necessari per affrontare i propri dubbi. Ha offerto uno sguardo, bollato come scandaloso. Sostenuto da Ai Weiwei ha continuato a lavorare in patria e ha iniziato a esporre all’estero: Amsterdam, Stoccolma, quando è morto aveva due personali in circolazione, era realizzato, comprato, un nome del fermento cinese e uno squarcio negli obblighi. Con lui il rispetto e la devozione alle usanze hanno smesso di combaciare.
Al Centro Pecci, i visitatori osservano inediti nudi, molti di loro sono di origine cinese. L’incrocio di Prato è fondamentale perché la migrazione dall’Oriente gira intorno alla manodopera. Un processo che ha visto il culmine tra gli anni Ottanta e i Novanta, molti sono partiti dall’Asia prima di tante evoluzioni, sono vincolati a un tracciato che probabilmente non è più lo stesso e ora sono testimoni di questa rivoluzione. Non si lasciano distrarre facilmente, assorbiti da una routine che li ha fatti cambiare mondo e si è poi trasformata in ragione d’essere. Un pezzo della terra che hanno lasciato però è arrivato fino a qui e non è come la ricordavano. C’è una donna che fa capriole senza nulla addosso, un uomo mimetizzato tra le farfalle e un pavone appollaiato sopra un seno. L’immagine è persino diventata un filtro Instagram, per farsi una foto alla maniera di Ren Hang, non nudi, ma immersi in un’altra realtà. Per ora nessun cinese lo ha usato.