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 2020  giugno 14 Domenica calendario

La «fase Hamilton» per l’Europa

Il Fondo per la ripresa che è stato proposto per i Paesi colpiti dalla pandemia dovrebbe disporre, fra emissioni e obbligazioni, di 750 miliardi di euro; e, se riuscirà a superare lo scoglio dei Paesi renitenti, potrebbe essere un decisivo passo verso la creazione di una politica finanziaria comune. Alcuni commentatori inglesi e americani hanno addirittura sostenuto che questa potrebbe essere la «fase Hamilton» della politica europea. Si riferivano ad Alexander Hamilton, segretario del Tesoro degli Stati Uniti dal 1789 al 1795, quando gli Stati della Federazione erano ancora le 13 colonie inglesi che avevano firmato la dichiarazione d’indipendenza. Hamilton fu un economista e un brillante costituzionalista con una buona cultura finanziaria. Nella biografia di Francesco Ruvinetti («Alexander Hamilton e l’arte del governo», pubblicata recentemente da Europa Edizioni), leggo che si batté per la creazione di un governo stabile «in grado di garantire la fiducia complessiva mantenendo gli impegni presi nei confronti degli investitori; nessuno avrebbe prestato soldi a uno Stato che non garantiva il pagamento degli interessi». 
Una delle sue prime decisioni quindi fu quella di promuovere la creazione di una Banca centrale e di assicurare il mondo che il governo federale sarebbe stato responsabile dei bilanci dei singoli Stati e dei debiti che avevano contratto.
Non sappiamo se Cavour e il suo ministro delle Finanze, Pietro Bastogi, conoscessero la politica di Hamilton, ma nel grande libro del Debito pubblico che Bastogi creò dopo la proclamazione della unità il 17 marzo 1861, furono iscritti tutti i debiti vecchi e nuovi degli Stati che componevano l’Italia unificata. La prima misura finanziaria del nuovo Stato fu quella di dichiarare ai suoi nuovi cittadini e ai mercati internazionali che avrebbe onorato la firma di tutti i debitori, da quella del papa a quelle del re di Napoli e del granduca di Toscana.
Se vogliamo l’unità dell’Europa (un obiettivo che tutti i governi italiani, con maggiore o minore entusiasmo, hanno dichiarato di desiderare e perseguire) ciò che è accaduto negli Stati Uniti e nel Regno d’Italia dovrebbe accadere, il più presto possibile, anche a Bruxelles. 
Ma con un debito pubblico che ha raggiunto il 134% del prodotto interno lordo e con governi nazionali che, a parte qualche breve eccezione, non si sono adoperati per una graduale diminuzione, l’Italia sta fornendo un alibi ai Paesi, fra cui in particolare i Paesi Bassi, che stanno ostacolando la creazione del Fondo per la ripresa. Sarebbe più credibile forse se le autorità italiane rinunciassero a ricordare frequentemente che l’Italia ha un grande debito pubblico, ma anche un grande risparmio privato. Perché? Per due ragioni. In primo luogo ha il suono di una excusatio. In secondo luogo perché quel risparmio sarebbe più virtuoso se non fosse anche il risultato di una considerevole evasione fiscale.