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 2020  giugno 13 Sabato calendario

L’apocalisse degli insetti

Farfalle, api, formiche, cicale, grilli, cavallette, pulci, zecche, scarafaggi: un caleidoscopico mondo di creature a sei zampe, gli insetti, che segnano il mondo dell’arte, della letteratura, della religione, della storia, della medicina, dell’economia, sta scomparendo dal pianeta. Pier Paolo Pasolini, nel 1975, utilizzava la scomparsa delle lucciole quale metafora per delineare i profondi cambiamenti della società italiana.
Molti aspetti della vita degli insetti esercitano un potente fascino: sfarfallamento degli adulti e vita sociale (farfalle, api, formiche, termiti), deliziosi aspetti del vestire (seta) e della tavola (miele) oltre ad altri meno piacevoli (malattie e devastazioni bibliche). Oggi evidenti cambiamenti climatici, massicci processi di urbanizzazione e conversione dei suoli ad uso agricolo stanno distruggendo la vita di tutte quelle specie, come avverte un recente studio di Maria Dornelas e Gergana Daskalova su «Science». 

Esapoda è il nome scientifico di questa classe di animali (Phylum arthropoda) che grazie alle piccole dimensioni e brevità dei cicli vitali occupa tutti gli habitat terrestri, aerei e acquatici. Il più numeroso gruppo di animali (più di un milione di specie conosciute, un quinto di quelle stimate esistere) che si avvia a scomparire. Un’apocalisse. Nello scorso aprile, come si è accennato, la prestigiosa «Science» ha dedicato la propria copertina a «il declino degli insetti» sottolineandone il ruolo nel mantenere il funzionamento degli ecosistemi e la produzione di cibo per l’umanità intera. In previsione della necessaria, drastica riduzione degli allevamenti intensivi di bovini, principale causa del cambiamento climatico, l’apporto di proteine nella dieta dell’Antropocene verrà in massima parte dalle polveri proteiche ottenute dall’essicamento delle larve di insetti consumatori della componente organica dei rifiuti urbani.
Dalla lettura degli articoli il già drammatico titolo si trasforma nel più preoccupante messaggio «eclissi globale del pianeta Terra». È infatti prevista una perdita del 9%, per decade, della biomassa degli insetti su scala planetaria. Sebbene questo dato ridimensioni la riduzione precedentemente annunciata del 25% per decade, a livello europeo, è prevedibile che nel giro di vent’anni il 50% delle specie di insetti delle aree temperate sarà estinto.
La percezione della nocività degli insetti (circa l’ 1% di essi causa perdite annuali di coltivazioni capaci di sfamare un miliardo di persone e più di 700 milioni di morti, secondo i dati diffusi dalla Fao nel 2019) oscura la loro importanza per il benessere delle nostre società. La scrupolosa statistica utilizzata negli studi considerati più aggiornati impone la massima attenzione poiché il declino è evidente per tutti i diversi habitat (erbosi, di duna o desertici): la perdita di biomassa è indipendente dalla ricchezza originale e dai diversi ambienti in cui si trovano i siti di campionamento.
La stima del declino a livello europeo (27 anni di campionamento, 1989-2016, in 63 siti) indica una perdita totale di biomassa di insetti volatori del 76%, addirittura 82 per la mezza estate; estrapolando al pianeta Terra si ricava la perdita del 25% di biomassa per decade. Questo significa che si sta sviluppando una potenziale catastrofe e parlare di «Armageddon degli insetti» rende più chiara la situazione.
Non illuda il minor dato del 9% a livello planetario, ottenuto dalla meta-analisi di dati riferiti a 166 studi relativi a 41 Paesi per 1.676 siti geografici di campionamento tra gli anni 1986-2018; questa minore valutazione è dovuta all’inclusione di aree geografiche in cui le legislazioni sono più rispettose delle biodiversità. Per capire la rilevanza di questi dati e l’allarme lanciato da «Science» si consideri il ruolo cruciale giocato dagli insetti in tutti gli ecosistemi, un fatto facilmente comprensibile se si pensa che dobbiamo agli insetti quasi tutti i prodotti che troviamo sugli scaffali di un supermercato.

La perdita di insetti svolge un ruolo avverso poiché altera processi fondamentali quali impollinazione, decomposizione organica e inorganica, ciclicità dei nutrienti del suolo e loro stabilità e fertilità, fonti di cibo nelle catene trofiche (per pesci, anfibi, uccelli e pipistrelli). Dipendono dagli insetti sia l’impollinazione di circa l’80% delle piante selvatiche sia l’alimentazione di circa il 60% degli uccelli. Ciò significa circa 60 miliardi di dollari di «servizi gratuiti» offerti dagli insetti solo per l’economia degli Stati Uniti e 200 miliardi a livello globale.
Le principali cause di quest’ecatombe risiedono nelle interferenze create dall’impronta ecologica umana sui tanti ecosistemi ove si svolge il ciclo vitale degli insetti: cambiamenti climatici, perdita, frammentazione e deterioramento degli habitat sono le principali cause unitamente all’intensificazione delle pratiche agricole con l’aumento nell’uso di pesticidi e fertilizzanti e la continua lavorazione dei terreni.
Circa la metà delle specie di insetti sono erbivore e la storia del loro ciclo vitale ha intime relazioni con le piante ospiti. Le alterazioni, anche le più lievi, nella tipologia delle specie vegetali e della loro abbondanza relativa può avere severe conseguenze per le popolazioni di insetti, così come il danno a carico di alcune specie può riflettersi sulla vita di molte altre specie dipendenti dalle prime e sul funzionamento di interi ecosistemi. La perdita di habitat è alimentata dall’espansione e dalla intensificazione delle pratiche agricole con un uso massiccio di pesticidi, erbicidi ed insetticidi che sono causa del declino degli insetti impollinatori, api in prevalenza. L’introduzione a livello tropicale di pratiche agricole su larga scala ha causato sostanziali danni alle popolazioni di insetti sia per l’impiego di pesticidi, erbicidi e fertilizzanti sia per i cambiamenti nella composizione delle specie vegetali.
I grandi cambiamenti climatici in corso (temperature e piogge) modificano anche la distribuzione delle specie allargandone l’areale, sostituendo specie autoctone e causando defoliazione di intere foreste, come accaduto in Nord America a causa dei curculionidi delle cortecce (in inglese bark beetle). 
In mezzo a questo quadro assai fosco sul futuro degli insetti, e dunque sul nostro, vi è un dato positivo che può illuminare pratiche virtuose da adottare per invertire la rotta: è quello di un incremento dell’11% degli insetti acquatici (una grande minoranza delle specie) là dove sono state messe in campo severe legislazioni per il recupero e la conservazione ecologica dei sistemi acquiferi. La presentazione di esempi virtuosi può rivelarsi più efficace nel produrre cambiamenti poiché messaggi catastrofici, sebbene capaci di catturare l’attenzione, si rivelano spesso controproducenti, in quanto generando nei cittadini solo apatia o negazionismo: la speranza, fortunatamente, vince sempre sulla paura.
Un esempio promettente è la recente drastica riduzione dell’impiego di pesticidi in Baviera ottenuta modificando le leggi precedenti grazie a un referendum vinto dopo una campagna di istruzione dei cittadini a favore di pratiche agricole più rispettose della vita di questi animali e della biodiversità. Ciò è stato possibile utilizzando specie iconiche da tutti amate, come le farfalle e le api (poco più del 3% degli insetti), per richiamare l’attenzione del pubblico sulla loro ecatombe. In realtà sarebbero utili campagne di monitoraggio e programmi scolastici di educazione ambientale anche verso quelle specie percepite dai più in modo negativo (ragni, che peraltro sono aracnidi e non insetti, e scarafaggi in primis) per promuovere curiosità ed empatia verso tutti gli insetti ed i loro habitat.
Riteniamo che questo sia il segreto per sviluppare una «cittadinanza scientifica» alla base di una laica democrazia «cognitiva» che rielabori il rapporto tra umani e pianeta Terra, così da assicurare la sopravvivenza degli insetti e quindi dell’umanità stessa. Sarebbe bello se in ambito urbano, una società bio-letteraria (scienziati, sociologi, urbanisti, architetti) imponesse un’attenzione maggiore agli spazi verdi (parchi, giardini, cortili, balconi, terrazzi, tetti) aumentando la presenza di specie vegetali in grado di richiamare insetti impollinatori. Tutto ciò con la consapevolezza di sviluppare metodi alternativi alla chimica per il controllo delle specie dannose alle coltivazioni agricole o mortali per l’uomo.

In ambito agricolo è possibile ridurre la dipendenza dagli insetticidi tramite la lotta biologica, ovvero introducendo una specie, predatoria o parassita, antagonista; è questa una pratica non sempre attuabile e dai risultati incerti. Un’alternativa efficace al controllo degli insetti dannosi è l’impiego degli organismi geneticamente modificati (Ogm); il loro uso però incontra sovente pregiudizi ideologici, e comunque non è privo dell’utilizzo di pesticidi o erbicidi. Intervenire per salvaguardare la vita degli insetti, così da consegnare alle future generazioni un pianeta ancora vivibile, è un dovere morale di altruismo sociale. La nostra responsabilità ecologica è alla base di un patto intergenerazionale per il quale «siamo gettati» in questo mondo, come diceva Martin Heidegger come beneficiari, ne diventiamo fiduciari e lasciamo il pianeta come «donatori di mondo». Dunque non possiamo esimerci dal trovare metodi di controllo o eliminazione di insetti mortali.
In questi giorni è in corso uno dei più devastanti cicli di invasione delle locuste in un’ampia area che va dall’Africa orientale all’Asia, si pensi alla «sola» estensione di circa 2.500 chilometri quadrati per il Kenya. Questi sciami in genere occupano circa 100 chilometri quadrati con popolazioni di 4-8 miliardi di cavallette in grado di consumare, in un giorno, la quantità di cibo sufficiente per sfamare 3 milioni di persone, numeri che fanno capire l’entità della catastrofe alimentare in corso. L’attuale invasione è dovuta ai cicloni e agli sbalzi di temperatura che nel 2018 hanno colpito queste aree (Kenya, Uganda, Sudan, Sud Sudan, Etiopia, Somalia).
Alla luce delle nuove tecniche di manipolazione del Dna vorremmo proporre ai lettori de «la Lettura» un difficile quesito: ritengono etico eliminare scientemente una specie dannosa, estinguendola volontariamente? Si potrebbe iniziare dalla zanzara anofele vettore del plasmodio della malaria: un’immane sofferenza che causa ogni anno circa 500 milioni di morti secondo l’Organizzazione mondiale della sanità. Disponendo oggi delle tecnologie di manipolazione del Dna utili a questo scopo (Crispr-Cas per gene drive) pare ormai possibile eliminarle del tutto in poche generazioni. Come agire? Che fare? Ai lettori l’ardua sentenza.