Corriere della Sera, 13 giugno 2020
L’uomo che fa rivivere i Van Gogh e i Veronese
«Un po’ scienziato forense, alla ricerca di indizi e prove, un po’ artista, emotivamente coinvolto con l’oggetto della propria creazione».
Si ritrae così quel campione di eclettismo che è Adam Lowe (Oxford, 1959), massimo esperto di tecnologie digitali al servizio della conservazione e valorizzazione del patrimonio artistico – cui si dedica con la sua Factum Foundation – e curatore, al secondo piano di Palazzo Fava, della sezione espositiva battezzata La materialità dell’aura. Nuove tecnologie per la tutela. Una vetrina in sei sale su alcuni dei progetti più interessanti realizzati da Factum nell’ultimo decennio attraverso, per esempio, la scansione e stampa 3D ad alta risoluzione, il restauro e la ricostruzione digitale, la realizzazione di perfetti facsimili che, «a differenza dei falsi, creati con il preciso intento di ingannare, mirano invece a rivelare e diffondere nuovi particolari dell’opera di partenza».
In quest’ottica, con un lungo lavoro di investigazione, l’équipe di Lowe è riuscita nella ri-materializzazione di capolavori perduti. Tra questi, il Vaso con cinque girasoli di Vincent van Gogh, appeso nel salotto di Koyata Yamamoto ad Ashiya e distrutto nel bombardamento americano del 1945, e le Ninfee di Claude Monet, danneggiate da un incendio al MoMA di New York nel 1958, che causò la morte di un operaio impegnato nell’installazione dell’impianto di condizionamento.
Fantasmi che riprendono forma. Anche da un passato lontanissimo. Come nel caso della mappa del mondo incisa su disco d’argento dal geografo arabo al-Idrisi nel XII secolo, «esempio di quanto certe opere che non esistono più, possano continuare a essere autorevoli strumenti di studio e di indagine».
La mediazione digitale non è «furto dell’autenticità», bensì, precisa Lowe, veicolo di informazioni e anche di emozioni vivissime. Un esempio? Le Nozze di Cana del Veronese collocate nel refettorio di San Giorgio Maggiore a Venezia, per il quale in origine furono concepite. «Copia che ha acquisito un’autenticità che manca all’originale, a un’altezza sbagliata, con la luce sbagliata, pesantemente restaurato e quasi invisibile nell’affollatissima sala del Louvre che condivide con la Gioconda».
Un segmento della rassegna riunisce i progetti realizzati per la città di Bologna. Dalla documentazione in 3D dei portali della facciata della basilica di San Petronio alla scannerizzazione del Compianto sul Cristo Morto nella chiesa di Santa Maria della Vita, capolavoro in terracotta di Niccolò dell’Arca, che per l’alta carica di dramma folgorò pure Gabriele d’Annunzio e il Nobel portoghese José Saramago.
Un lavoro, quello di Factum, di discesa nell’intimità della creazione, che assume, di fatto, i caratteri di una rivelazione. «Nel corso di operazioni di questo genere non c’è opera d’arte che non sveli i propri segreti. Il retro di ogni singola figura del Compianto ha permesso di esplorarne la tecnica di lavorazione e la ricerca intorno alla Natività trafugata dall’Oratorio di San Lorenzo a Palermo ci ha consentito di appropriarci del modo in cui dipingeva Caravaggio», afferma Lowe.
Che in questo momento sogna «di terminare il lavoro conservativo incominciato anni fa nel sito mesopotamico di Nimrud e di documentare in alta risoluzione i marmi del Partenone, tanto al British Museum quanto ad Atene». Intanto è impegnato in due progetti di ampio respiro sul patrimonio artistico spagnolo: il primo museo della Gran Bretagna, a Bishop Auckland, interamente dedicato all’arte ispanica e la casa-museo Velázquez a Siviglia, sull’attività giovanile del grande ritrattista, la cui apertura è prevista nel 2021.