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 2020  giugno 13 Sabato calendario

Periscopio

Non amo eccessivamente parlare. Un po’ come certi miei personaggi che si esprimono con i gesti, i vestiti, le mise. Paolo Sorrentino, regista (Antonio Gnoli). la Repubblica.
L’Unione sovietica aveva costruito una superpotenza sottosviluppata. Alberto Ronchey, Il fattore R, conversazione con Pierluigi Battista. Rizzoli, 2004.

Con largo anticipo sui contemporanei, Salvador Dalì aveva capito che fingersi artista di talento è molto più importante che esserlo davvero. Marco Cicala, Eterna Spagna. Neri Pozza, 2017.

L’amore platonico non esiste, e se esiste è per i masochisti. Aldo Cazzullo, Fabrizio Roncone, Peccati immortali. Mondadori, 2019.

Io penso che tutto, dopo il Covid, tornerà come prima, ma con più cattiveria. La mia è un’illazione. Il mondo sta andando da quella parte, non certo per colpa del Covid, ma di tutto. Io sono comunque contenta perché tanto sono vecchia e la cosa non mi interessa. Natalia Aspesi, giornalista (Giuseppe Fantasia). Huffington Post.

Ho scritto un paio di libri prendendo a scarpate gli ex camerati. Maurizio Gasparri, ad esempio, l’ho definito uno «spione viscido». Ha il dna di un informatore dei carabinieri. Tomaso Staiti di Cuddia, ex deputato del Msi (Giancarlo Perna). Libero.

Un italiano su due è obeso perché mangiamo troppo. La risposta è da considerarsi definitiva. Le calorie contano, ma non si contano. Per il principio di conservazione dell’energia, la pasta in più che non riusciamo a smaltire viene immagazzinata come ciccia. Dario Bressanini, dietologo (Stefano Lorenzetto). Corsera.

Il problema delle differenze culturali in Europa è stato risolto con una invenzione linguistico-politica quanto mai ambigua: l’Europa delle regioni. In altri termini: gli stati nazionali debbono morire (anche se è bene che i popoli se ne accorgano il più tardi possibile) per far posto all’impero europeo, ma rimarranno formazioni «di provincia», prive di contenuto politico, che potranno dilettarsi con le loro tradizioni folcloristiche, le loro feste popolari. Siccome i valori della specie umana non sono quelli della sopravvivenza biologica (ma bensì la produzione del pensiero, delle arti, della filosofia, della scienza) allora, questo è il punto da sottolineare, difendere un patrimonio creativo non significa detestare gli altri o sentirsi superiori. Ida Magli e Giordano Bruno Guerri, Per una rivoluzione italiana. Bompiani, 2017 (prima edizione 2001).

Uno si immagina che, all’interno, la Bolla (Rai) sia un paradiso di armonia e di reciproca cordialità. Ecco, questo no. L’interno è una multiforme confederazione di tribù, ciascuna gelosa dei propri spazi e parimenti incurante dei bisogni della collettività. In comune ci sono le mense, i bar, i chiacchiericci alle macchinette del caffè, stop. Il resto somiglia a un enorme parco giochi, dove ogni gruppetto di bambini ha la propria palla e il proprio campetto e mai si sognerebbe di condividere con chicchessia l’uno o l’altro. Carlo Verdelli, Roma non perdona. Feltrinelli, 2019.

Il periodo chiamato Rinascimento è pieno di creazioni grandi nel campo dell’arte, di idee filosofiche, di forme politiche, di scoperte geografiche e astronomiche e di speculazioni capitalistiche. Sa di pienezza di vita, di bellezza nell’arte, di indipendenza nel pensiero. Ma si comincia vedere sempre di più che tale bellezza, tali scoperte, questo accumulare di ricchezza, queste nuove forme politiche, soltanto superficialmente sono affini all’antica arte, alla politica, e ai modi di vivere greci o romani. Sono, potenzialmente, mondi nuovi. Giuseppe Prezzolini, L’Italia finisce. Rusconi libri, 1994 (prima edizione in Usa 1948).

Mio padre tornò a casa dalla prigionia in Germania nell’agosto del 1945. Prima arrivò in paese, a Pavana, una cartolina da Milano, con la foto di una fontana. La ritagliai, mi diedero un sacco di botte. C’era scritto: «Sono un commilitone di Guccini, mi incarica di dirvi che sta rientrando a casa». Era una domenica, ero con mia madre Ester alla messa delle 11, quando entrò in chiesa la prozia Rina, la moglie del prozio Enrico, con il grembiule, gridando: «Sta arrivando Ferruccio!». Me lo vidi davanti con lo zaino e la divisa. Francesco Guccini, cantautore (Aldo Cazzullo). Corsera.

Quando ci fu lo sbarco di Anzio papà decise che, dalla torre di Tarquinia, dovevamo trasferirci alla casa di Roma. Facemmo questo viaggio io, mia madre e mio padre nascosti nel vagone di un camion che trasportava carne. La liberazione la vissi dalla finestra sulla strada di via Napoleone III. Vidi i soldati tedeschi che, uno per uno, si allontanavano. Poi passò qualche milite della Pai, Polizia dell’Africa Italiana, e dopo un po’ sfrecciò una strana macchina con sopra un tricolore. Andava di corsa su e giù per la strada. Era una jeep e, poco dopo, arrivarono, incolonnati come i tedeschi che se ne erano andati, i soldati americani. Tutti quelli che stavano alla finestra corsero in strada abbracciandosi. Le signorine Muccio, che abitavano accanto a noi, scesero per baciare i soldati e mia madre fu molto critica di questo eccessivo slancio. Poi ricordo la prima messa a Santa Maria Maggiore, uno o due giorni dopo la Liberazione. Ci cambiammo, ci vestimmo a festa come si faceva la domenica, e andammo in chiesa. Stavamo per sentire la prima messa da liberati. La gente era diversa dai giorni precedenti. Era sparita la preoccupazione e c’era la gioia della libertà. Fabiano Fabiani, ex capo Rai e Finmeccanica (Walter Veltroni). la Repubblica.

Il commissario comunista (nero di capelli, d’accento emiliano) seduto a un tavolo con accanto un poliziotto russo per interrogare i soldati italiani fatti prigionieri in Urss calzava (nonostante il caldo che veniva da una vicina stufa arroventata) guanti di lana; alla spalliera della sedia era appeso il suo giaccone di cuoio nero. Da lui Michele aveva finalmente udite, dopo due mesi, le prime parole italiane, l’istintivo sollievo che glie n’era venuto però non era durato a lungo, a causa del modo ostile e scostante con cui l’altro lo interrogava. Eugenio Corti, Il cavallo rosso. Ares, 1983 (33esima edizione).

Uscendo come forsennati dal forno, i due garzoni, che portavano sul capo un recipiente tondo di stagno, urlavano: «O pizzaiolo! È calva ’a pizza, è calva ’a pizza!» (cioè: È calda la pizza, è calda la pizza). Dai balconi e dai portoni si affacciava qualcuno: chiamava, comprava e la famiglia mangiava. La cena, talvolta, era tutta lì. Gaetano Afeltra, Desiderare la donna d’altri. Bompiani, 1985.

C’è gente così gretta e avara che paga solo i propri debiti. Roberto Gervaso. Il Giornale.