Corriere della Sera, 12 giugno 2020
Il vantaggio morale della mascherina
La mascherina ha, oltre a quelli stranoti, un vantaggio morale: ci costringe a guardarci negli occhi. Difficile sfuggire allo sguardo dell’altro («gli occhi altrui sono le nostre prigioni», ha scritto Virginia Woolf), se nella semiotica reciproca c’è solo quello (un paio d’occhi) e non più gli altri accessori, ovvero la bocca e il naso, che di solito contribuiscono all’espressione complessa della mimica facciale. Persino più che uno schermo protettivo, la mascherina è una nuova condizione ontologica, che nel nasconderci finisce per mostrarci ancora di più attraverso lo sguardo, se è vero quel che Shakespeare faceva dire a un suo personaggio in Molto rumore per nulla: «Qual è il villano? Lasciatemi vedere i suoi occhi, così quando noto un altro uomo come lui posso evitarlo». Se riusciamo a distinguere meglio i villani fissandoli negli occhi e prescindendo dal resto, la mascherina ci offre l’opportunità di un utile esercizio antico come l’uomo: leggere lo sguardo come «specchio dell’anima». Del resto, gli artisti, gli scrittori e i filosofi conoscono bene la funzione degli occhi quali rivelatori del sentimento profondo e se ne servono a piene mani in senso proprio e in senso metaforico. Addirittura, Boris Vian sosteneva che è molto meno indecente andare a letto con qualcuno che guardarlo negli occhi (saranno d’accordo le donne islamiche che portano il niqab?). La mascherina non è la maschera di Pirandello, quella che indossiamo in società per schermarci il vero volto lasciando lavorare liberamente la nostra ipocrisia. La mascherina, che fa risaltare gli occhi e solo gli occhi su campo bianco o verdino, paradossalmente ci denuda: anche se (a occhio) va escluso che la severa ingiunzione rivolta ieri alla Camera da Mara Carfagna a Vittorio Sgarbi («Onorevole, indossi la mascherina!») avesse qualcosa di sensualmente provocatorio. Sembrava all’inizio dell’epidemia un oggetto ostile, ma adesso bisognerebbe che qualcuno si prendesse la responsabilità di tessere l’elogio etico della mascherina, al punto da consigliarne l’uso ben oltre la scadenza delle direttive statali.