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 2020  giugno 12 Venerdì calendario

Il boom di Zoom, tra la Regina e la censura

Nome utente: Windsor Uk. Anche la regina Elisabetta a 94 anni ha fatto la sua prima apparizione su Zoom: qualche giorno fa ha partecipato a una conference call di 20 minuti organizzata da Carers Trust, una charity britannica. «È sembrata perfettamente a suo agio», ha raccontato la figlia Anna. «Sono molto impressionata da ciò che avete realizzato» ha detto Elisabetta, i capelli bianchi curati, un filo di perle sul collo dal centro del video, tra i riquadri con le faccine degli altri partecipanti, rivolgendosi a quattro donne britanniche che si prendono cura dei parenti malati. 

«Quando i libri di storia racconteranno il Covid-19 tra 10 o 20 anni vorrei che scrivessero che Zoom ha fatto la cosa giusta per il mondo», ha detto di recente il fondatore Eric Yuan, 50 enne ingegnere sinoamericano trapiantato nella Silicon Valley e ormai miliardario. 

La sua app di dirette video è diventata estremamente popolare negli ultimi mesi con un terzo del mondo costretto al lockdown per il coronavirus. Tutti la usano per la sua semplicità, nonostante la concorrenza, grazie al modello “freemium” che permette videocall gratuite per 40 minuti fino a 100 persone in alta definizione. 

Da dicembre il traffico di Zoom è aumentato del 3000%. Da inizio anno il valore delle azioni a Wall Street – la società è quotata al Nasdaq dal 18 aprile 2019 - è salito del 233%, con 63,5 miliardi di dollari di market cap: oggi Zoom vale più di Gm e Ford messe assieme. Grazie al Covid che costringe tutti a lavorare, studiare e incontrarsi da un video, Zoom ha aumentato i ricavi trimestrali del 169% e raddoppiato le guidance per fine anno. Eric Yuan è stato inserito nella classifica di Forbes dei più ricchi del pianeta con un patrimonio di oltre 8 miliardi. 

Mister Zoom è l’esempio perfetto di quanto i ricercatori cinesi abbiano dato in termini di R&D alla Silicon Valley e agli Usa. Un ponte tra due mondi ora in guerra. Dove è difficile restare equidistanti.

Qualche giorno fa Zoom è scivolata su una buccia di banana quando ha deciso di cancellare l’account del gruppo di attivisti per i diritti umani di Humanitarian China, una ong che ha sede negli Stati Uniti, mentre cercava di organizzare una video conferenza per commemorare l’anniversario dei massacri in piazza Tienanmen. Chi non ricorda le proteste del 1989, l’immagine di quell’uomo fermo, solo, davanti alla colonna dei carri armati.

Zoom ha confermato di aver disattivato l’account di Humanitarian China «per rispettare le leggi locali». Una mossa che ha il sapore della censura. Zhou Fengsuo, fondatore della ong che oggi vive negli Stati Uniti, ma che nel 1989 era tra gli studenti che protestavano in piazza a Pechino, ha detto che Zoom «ha agito su pressione del Partito comunista cinese». Oltre 250 persone avrebbero dovuto partecipare alla video call, con altre 4000 in streaming, dicono gli organizzatori. «Sembra possibile – ha scritto Zhou - che Zoom abbia agito su pressione del Partito comunista cinese. Se fosse così, Zoom si è resa complice di un governo autoritario nel tentativo di cancellare il ricordo del massacro di Tienanmen». 

Zoom si è scusata, riconoscendo implicitamente l’incidente. «Quando un incontro si tiene in diverse nazioni – recita un comunicato della società - i partecipanti di quei Paesi sono tenuti a conformarsi alle leggi locali». Non è il primo caso. Qualche giorno prima la scure censoria di Zoom si è abbattuta sui manifestanti di Hong Kong: il sindacalista Cheuk-yan ha denunciato la chiusura del suo account in abbonamento il 22 maggio. Trenta minuti prima di una videocall con Jimmy Sham, uno dei leader delle proteste dei giovani pro-democrazia. Evento pubblicizzato sui social network e oscurato all’ultimo minuto senza spiegazioni da Zoom.