La Stampa, 11 giugno 2020
Intervista a Sofia Goggia
Dopo essere diventata la stella dello sci azzurro, Sofia Goggia era improvvisamente finita in una bolla nera. Colpa, anche, di un infortunio che l’ha messa all’angolo. Ma non solo, il peso della notorietà a volte rischia di schiacciarti. Ora da quella bolla la campionessa ritrovata è felicemente emersa, proprio come l’Italia sta uscendo dal tunnel del virus.
Sofia, che cosa l’ha mandata in crisi?
«Ho vissuto un anno annullandomi. Sono andata in paranoia ma adesso continuo il mio percorso. L’importante è vivere con serenità. Ora rilancio. Non sono certo una che punta in basso».
Come ha affrontato i mesi della pandemia?
«È stata una tragedia incredibile, a Bergamo in particolare abbiamo vissuto una situazione alienante. Però c’è un risvolto positivo a livello personale, mi ha permesso di condurre una vita normale, dormire nel mio letto e godermi la mia nuova casa che a livello interiore ha acquisito una nuova centralità. L’avevo comprata l’anno scorso ma non ci ero mai stata. Farmi anche il caffè quotidianamente, mi serviva un periodo così».
Quasi un ritiro spirituale?
«Ho avuto la possibilità di tornare a capire che cosa è essenziale e che cosa non lo è, e quindi di prendere tutto con più leggerezza, mi sembrava impossibile l’anno scorso. E mi sono tanto riposata dopo anni in cui ho continuato a correre come una trottola, senza un minimo di sosta. Non mi serviva la quarantena, ma Sofia aveva bisogno di un periodo in cui sentire di esistere anche senza sci e senza l’ansia dei risultati».
Che cosa ha pensato durante il lockdown?
«Dopo Garmisch, con quella brutta caduta in cui mi sono rotta il braccio, ero talmente svalvolata che ho pensato anche di ritirarmi. Però poi mi sono fermata, ho letto molto e mi sono data la possibilità di avere una vita normale per quanto fosse anormale la situazione, e ho fatto quello che mi andava di fare. Andare in libreria, suonare un po’ la pianola che era una passione fin da bambina, abbandonata a causa dello sci. Ho ricreato un po’ quelle mie bolle vitali dentro cui sento di poter esistere anche senza le gare. Anzi, sono proprio quelle che ti fanno affrontare nel modo giusto l’esperienza agonistica».
C’è una Sofia ritrovata?
«Sì, mi sono ritrovata davvero. Mi ha aiutata anche lo yoga. L’anno scorso ero annebbiata: capita, quando sei troppo stanca, e non funzioni più, e a cascata non funzionano neppure le altre cose. Adesso sto bene e qui allo Stelvio ho trovato le condizioni che cercavo, per me è il top. Sciamo tanto e abbiamo tutte le piste a disposizione».
Ha cambiato skiman. Perché?
«Avevo bisogno di un cambio. Ho scelto Barnaba Greppi, è di Bergamo come me, ha 62 anni ed è un personaggio storico del circo bianco. Quando seguiva la svizzera Lara Gut nel 2006-2007, io andavo a casa sua a prendere un paio di sci Atomic ed ero super contenta. È bello ritrovare una persona così dopo tanti anni».
Le incertezze del calendario e della prossima stagione la turbano?
«No. Mi alleno per essere pronta, indipendentemente dalle date della Coppa. Il mio miglioramento sugli sci esula dalle competizioni programmate ed è qualcosa che ricerchi ogni volta che vai sulla neve. Sono rientrata in quest’ottica, sto benissimo».
Il mondo si evolve rapidamente. Come accoglie questa nuova fase?
«Cambia nelle regole ma l’uomo è un animale sociale, non possiamo stravolgere la nostra natura. E soprattutto, per quanto tutti si siano sentiti migliori, nella collettività è rimasto tutto uguale. Ci sono un sacco di procedimenti da seguire. E ci sta. Essendo di Bergamo abbiamo vissuto tutto in prima linea. Spero che adesso vengano fatte le scelte giuste».
Che cosa le ha lasciato in eredità la tragedia della sua città?
«Guardi, ero andata alle Maldive e sono tornata quando c’era il lockdown, non l’avevo detto a nessuno perché non mi andava di far sapere che in quel periodo ero al mare mentre Bergamo era chiusa. Non è stato facile. Per strada c’era una tensione che si tagliava con il coltello. C’è stato un momento in cui noi bergamaschi abbiamo pensato che l’unica cosa importante fosse salvare la pelle, sopravvivere. Da casa mia, che è abbastanza isolata, sentivo solo le ambulanze. Ora è tornata la luce».