C’era amore, autentico, si sentiva nell’aria, Massimo Troisi e Pino Daniele si specchiavano l’uno nell’altro, vedendo nelle parole, nelle immagini e nelle musiche la Napoli che volevano rappresentare, quella moderna, cosmopolita, orgogliosa, priva di cartoline e mandolini. Si piacevano perché si completavano, nella totale assenza di rivalità, Massimo che di musica ne masticava poca (e a stento poteva accennare per ridere a una canzone come Yesterday fingendo di averla scritta lui) e Pino che al cinema poteva pensarci al più per metterci le sue musiche, soprattutto se a chiederle era l’amico di sempre.
Questa corrispondenza di amorosi sensi prese forma una volta di più nel dicembre del 1987. Erano entrambi nella bella casa romana di Troisi, ai Parioli, dove viveva con la compagna di allora, Jo Champa. Era una giornata intensa e fredda, pochi giorni prima dell’uscita del film Le vie del signore sono finite , e il primo ad arrivare fu Troisi: «È andata bene, ma il fatto è che tutti lavorano bene cu’mme, questo è il guaio, i’ nun capisc’ niente ‘e musica, sai il mio orecchio addò arriva, può cadere una pentola e lo piglio per un concerto di Joe Cocker, ma io per questo chiamo Pino, pecché è ‘n amico, pecché sai che ce sta nu cert’ feeling e infatti io gli avevo solo raccuntat’a storia, e lui ha scritto la canzone giusta. Non so perché succeda, sono cose medianiche. No, la verità è che se uno fa le cose con divertimento, ci sta il 50% in meno di difficoltà. Ma pure lui ha detto subito sì, lui che è scorbutico, fuori da ogni cosa, e vuol dire che un certo margine di rischio c’è, noi ce putimm’ stima’, ma io putevo pure fare n’u bruttissimo film, che può pure essere, perché tra l’altro nessuno l’ha ancora visto… e lui poteva fare delle musiche tremende, ma nella vita bisogna pur fidarsi».
A questo punto Pino entra nella stanza, ce l’ha con qualcosa che gli è successo e arriva brontolando «mannaggia ‘a morte», e Troisi si raccomanda: «Pino, nun parla’ male che ce sta o cos’ appicciato (il registratore, ndr ), parla buono».
Per molti era destino che s’incontrassero e il prodigio quella volta era tutto racchiuso in una bellissima canzone intitolata Qualcosa arriverà , che diceva "vogli’o mare, e quatt’a notte in miez’o pane", una di quelle intuizioni assurde e spiazzanti della poesia di Pino, "voglio il mare, alle quattro di notte e lo voglio in mezzo al pane", e l’ho ascoltata per la prima volta quel giorno, con loro due.
Pino Daniele : «Con Massimo ci conosciamo da dieci anni dai tempi di Non stop su Rai 1, vede le cose come me, c’è questo modo di essere italiani, di movimento, di tradizione, come simmo nuje napulitane, lui ha fatto una cosa molto intelligente, nel film non ha parlato di Napoli pur parlandone, tirando fuori un modo di essere meridionali ma senza dirlo. Stanno uscendo pure troppi film su Napoli che non vanno bene, questo è una maniera per dire le cose in modo naturale, senza che diventino per forza folklore».
Massimo Troisi: «Eh sì, il film è ambientato in un luogo imprecisato, l’ho chiamato Acquasalute, perché ci sono le terme, potrebbe essere nei dintorni di Napoli oppure no, è tutto mischiato, c’è chi parla con accento romano, Marco Messeri è mio fratello e parla toscano, lei (Jo Champa, ndr) è francese e lavora alle terme, insomma me ne sono fregato della funzionalità».
Siete due napoletani che hanno scelto di vivere altrove. C’è bisogno di stare lontani da Napoli per rappresentarla nel migliore dei modi?
Troisi: «Molte volte a Napoli nascono attriti, e nun se capisce pecché, i napoletani ti adottano, ti amano talmente che ti fanno bandiera, ed essere bandiera è scomodo, ‘a bandiera vene purtat’in giro, sbandier’accà, sbandier’allà, in guerra la portano davanti a tutti, poi cade e chill’ato la riprende, insomma sta bandiera nun trova pace. Ti ritrovi sempre in questa idea della napoletaneità, e non mi stupisco se la gente cerca Napoli in questo film, anche se non c’è, oppure se associa al comportamento del protagonista il fatto di essere napoletano. Io se Pino fosse stato svedese, bravo com’è, l’avrei preso lo stesso. Insomma può anche essere come sminuire la bravura di una persona, pensando: è bravo, canta bene e grazie… è napulitano. Le cose si fanno per esprimere cose che hai dentro che poi sia di cultura napoletana va bene, ma non deve diventare ogni volta una bandiera… E comunque Pino, io t’agg’ chiammato soprattutto perché mi fai lo sconto».
Daniele: «Io volevo scrivere una sceneggiatura e la volevo sottoporre a lui, ma non mi ascolta, mi dice "comincia a fare la musica"».
Troisi: «La verità è che Pino l’agg’ visto tira’ fuori musica con una semplicità tremenda, ti pare un mostro quando vedi uno fare una cosa così. Una volta stavamo in moviola, c’era un punto per il quale ci voleva una cosa francese, lui ha preso la chitarra e l’ha fatta là per là, ma non è un mostro, è nu guaglione normale coi problemi di tutti giorni».
Daniele: «Ha avuto piena fiducia, sono arrivato con la cassetta delle musiche del film e lui ha detto: va’bbuò che me la dai a fare, poi però si è incuriosito, l’ha voluta sentire e il giorno dopo mi ha chiamato».
Troisi: «Io mi sono sempre identificato, per me Pino è come se fosse l’Eduardo della canzone. Sulle immagini non ci poteva essere altra musica».
E non è la prima volta…
Troisi: «Il rapporto è iniziato già con Ricomincio da tre ma lì Pino aveva avuto meno opportunità, c’era talmente tanto parlato che non c’era il tempo neanche di bussare alla porta che io parlavo pure sulla porta che sbatteva, qui c’era addirittura la possibilità di fargli cantare ‘na canzone intera…».
Daniele: «C’è una tema d’amore su cui è basata la canzone, il ritrovamento tra questi due personaggi a Parigi, una scena senza parole, buona per metterci una canzone, che però è nata in base a un mio modo di vedere l’amore, l’ho scritta prima di vedere le immagini, sulla storia che ho letto. Dice: "vogli’o mare, e quatt’a notte in miezo o’pane, se caresse o munno sano resto sotto a te guardà", poi ci sono immagini normali, modi di dire, frasi che si usano tipo: tanto nun passa nisciuno, te voglio bene, oppure ancora "stasera nun tengo genia e pazzià". Così come Massimo ha previsto le musiche senza sentirle così ho fatto io senza vedere il film. Ho cercato di non fare musica tradizionale, d’epoca, mi sono ispirato al mio modo, etnico, modale, ma rispettando il film, ho suonato la chitarra battente, ma anche il computer, il campionatore, il tono è molto caldo, come il colore della fotografia del film. Per la scena dei fascisti ho immaginato una tarantella un po’ strana, arabeggiante, libica».
Una cosa è certa, vi divertite anche molto insieme, non è vero?
Troisi: «Per forza, vedi, una volta a casa sua si parlava di cani, perché lui ne ha sei o sette, la moglie di Pino diceva che erano nati sei cuccioli e non sapevano dove metterli però poi alla fine era stato facile darli via perché tutti pensavano: ‘o can’e Pino Daniele, ‘o can’e Pino Daniele, a molti l’idea piaceva. Allora io ho detto: mo’ che s’accorgono ca nun cantano, so’ guai, li hanno presi convinti che gli mettevi la chitarra in mano e cantavano come Pino…».
Ridevano, si ritrovavano, l’uno vivendo nell’altro la propria parte mancante. Uno di quei rapporti che generano scintille e bellezza, come successe di nuovo qualche anno dopo, nel 1991, quando Massimo girò Pensavo fosse amore invece era un calesse e Pino scrisse per lui Quando. Un destino che purtroppo li ha accomunati anche nella malasorte di morire troppo presto e troppo giovani, Massimo Troisi nel 1994, a soli 41 anni e Pino Daniele a 59 anni, il 4 gennaio del 2015, sicuramente continuando a fare film e canzoni, da qualche parte nell’universo.