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 2020  giugno 11 Giovedì calendario

Intervista a Fedez

Effetti collaterali del virus: una coppia criticatissima sui social per esibizionismo, gaffe, ostentazione di felicità e ricchezza, capacità di agire per fare soldi per fare soldi per fare soldi, diventa all’improvviso amata e lodata da tutti con una serie di scelte azzeccate. Una raccolta fondi per fare costruire una terapia intensiva. La consegna a domicilio della spesa a chi non poteva permettersela. La partecipazione al corteo di Black Lives Matter. Insomma, da contestati per il loro stile di vita, ora Fedez e Chiara Ferragni sono nei dintorni degli eroi nazionali. «Ma non l’abbiamo fatto apposta — precisa il rapper — o meglio l’abbiamo fatto perché era giusto, punto e basta. Di quello che si scrive sui social non ci interessiamo affatto».

Faremo finta di crederci, vista la vostra fervida vita social. D’altronde l’intervista nasce dalla sua nuova canzone, che esce oggi, Bimbi per strada, la musica di una hit anni Novanta, Children di Robert Miles, cui lei ha aggiunto le parole. Come mai?
«Un omaggio a un brano che mi ha segnato. Avevo 6 anni quando uscì, fa parte della mia formazione musicale, ma abbraccia anche le generazioni successive, un classico che ho avuto l’opportunità di rielaborare, ma con rispetto: di base un rullante un po’ più moderno. Un’idea nata pre-lockdown e sviluppata in uno studio in casa».
Il testo però pare creato in isolamento, basta pensare all’attacco «Tre mesi steso in sala con la testa per aria».
«Non ci sono riferimenti diretti, ma il mood malinconico nasce in isolamento. Così come la frase “I grandi a casa / bimbi per strada”, perché i bambini hanno avuto pochi danni dal virus, per fortuna. La canzone è un omaggio ai giovani di adesso, che devono farsi carico delle sconfitte delle generazioni precedenti, compresa la mia».
È già sulla linea Gaber, «la mia generazione ha perso»? A 30 anni?
«Mettiamola così: io e Chiara siamo andati in piazza per Black Lives Matter perché ce lo sentivamo, ma anche come segno di solidarietà coi giovani di oggi che dovranno davvero cambiare il mondo. Io appartengo all’età del berlusconismo, quando in piazza si andava per altri motivi. Il momento della vita in cui si mobilita il proprio senso civico è intorno ai 18-20 anni. E vedo tanti di quell’età che ci credono e combattono».
In piazza però ci sono stati anche i gilet arancioni.
«Non mi capacito di come gli sia stato permesso l’assembramento: dopo quello, e dopo la manifestazione della destra il 2 giugno, sarà molto più difficile chiedere il distanziamento nelle iniziative pubbliche. Quanto a Pappalardo, il periodo del complottismo io l’ho superato a 14 anni. E dire che il virus non esiste è — a esser buoni — irrispettoso, come danzare sulle tombe di chi di Covid è morto».
Voi il Covid l’avete combattuto sul campo. A iniziare dalla raccolta fondi per un nuovo reparto di terapia intensiva al San Raffaele, avviata con 100mila euro.
«E ci hanno seguito 192mila persone, persone comuni, cosa che ci ha reso felicissimi. E ancor più felici è che sia stato realizzato, sia entrato in funzione e abbia salvato un gran numero di vite».
A differenza di quello realizzato in Fiera, costruito in tempi biblici e restato pressoché deserto.
«E al triplo o quadruplo dei costi di quello del San Raffaele. Non mi ci faccia pensare: da cittadino io desidero che i soldi delle tasse che pago siano usati come si deve, non così. E sempre da cittadino, se posso, dopo aver visto Report vorrei delle risposte vere e serie da Fontana. È il momento di approfondire quel che è successo, di punire certe persone. Penso alla Pivetti: vorrei che non avesse più a che fare con la cosa pubblica».
Ma molte cose sono andate bene.
«Non c’è dubbio: per la prima volta ho percepito un senso collettivo di appartenenza all’Italia, la gente ha contribuito non solo con donazioni, ma anche con comportamenti civili e rispettosi. Ho visto tassisti portare gratis medici e infermieri per esempio. Non so dire se siamo stati più bravi di altri Paesi, di sicuro siamo stati bravi, e questo già mi conforta. Forse usciamo dal virus diversi».
Anche voi, però: sembra le abbiate azzeccate tutte.
«Ripeto, non abbiamo pensato al nostro tornaconto neanche di immagine. Io comunque ne esco con 15 denunce del Codacons, se non ho perso il conto. Loro hanno criticato la mia raccolta fondi e io ho risposto per le rime, facendo notare... aspetti, calibro le parole perché non voglio la denuncia numero 16 e non voglio che denuncino anche lei.... ecco, la — diciamo — poca trasparenza delle loro azioni. Il risultato, atti giudiziari per diffamazione, calunnia, associazione a delinquere, violenza, minacce plurime e induzione a commettere reati e una richiesta di 393mila euro di danni, che avranno solo l’effetto di intasare i tribunali».
A proposito di liti, è vero che ha fatto pace con J-Ax?
«Le rispondo con quello che ho scritto sui social: sono finalmente riuscito a rivedere in tv il nostro concerto a San Siro di due anni fa, e senza che mi facesse male pensare a quel giorno. Una liberazione».
Potremmo chiudere parlando di musica, no? Tra una cosa e l’altra era un anno e mezzo che non ne faceva.
«Vero. Problemi con tutti (Giuda) non è andato in radio e Le Feste di Pablo era un featuring in un brano di Cara. Posso dire che sto cercando di togliermi dalle logiche discografiche: questa era un’uscita che volevo fare, a breve ne seguirà un’altra per l’estate, contro il parere del marketing che non voleva due brani fuori assieme, per non confondere le radio. Nel lockdown ho creato, cercando di tornare al mio sound delle origini, diciamo più spartano. Se e quando avrò la voglia e l’esigenza artistica di pubblicare qualcosa lo farò. Ma al momento non ho dischi in canna».
E i concerti quanto le mancano?
«Così tanto che appena sarà possibile ne farò, ma per 100-200 persone. Non solo perché temo che il tempo delle adunate sia lontano ancora, ma anche perché voglio aiutare concretamente i lavoratori della musica disoccupati: elettricisti, operai, tecnici, Quando tornerò sul palco sarà per loro. Lo streaming è una buona alternativa ma appunto non fa lavorare queste persone».
Crede che sarà ancora lunga? Ovvero, che il peggio sia passato?
«Non lo chieda a me. In un mondo di comunicazione molto confusa non voglio dare un parere a casaccio e da incompetente».