Avvenire, 11 giugno 2020
I caporali che chiamavano «scimmie» i migranti
Donne e uomini erano «scimmie» che per dissetarsi dovevano bere l’acqua d’un fosso di scolo. Non solo: per una cassetta di agrumi non meritavano più di 80 centesimi, al massimo 10 euro al giorno. Le donne, per una giornata curve a raccogliere fragole, ai 28 euro dovevano sottrarre 5 euro per il trasporto, dalla Piana di Sibari ai campi della Basilicata, e altri 5 euro per il caporale che le sfruttava. Spesso erano pure coinvolti in matrimoni combinati per aggirare le leggi sulla cittadinanza. Sono racconti di schiavitù contemporanea, con vittime soprattutto cittadini pachistani e africani, quelli che emergono dalla maxi operazione condotta dalla Guardia di Finanza di Cosenza agli ordini del colonnello Danilo Nastase. I carnefici erano 60 persone, tra cui ’imprenditori’ agricoli, indagati nell’inchiesta coordinata dalla Procura di Castrovillari col pm Flavio Serracchiani che ha formalizzato la richiesta delle misure cautelari scritte dal gip Luca Colitta. Cinquantadue gli arrestati (14 in carcere e 38 ai domiciliari) e otto sottoposti all’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Associazione per delinquere finalizzata all’intermediazione illecita, allo sfruttamento del lavoro (la nuova legge sul caporalato) e il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina le accuse ipotizzate dalla magistratura. Sequestrate 14 aziende agricole, 12 in provincia di Matera e 2 nel Cosentino, per un valore di quasi 8 milioni. Sigilli pure a venti automezzi usati per il trasporto dei braccianti agricoli. Proprio il controllo a un furgone ha avviato l’inchiesta, che è l’ennesima con cui i finanzieri colpiscono il business malato ai danni di disperati che spesso non hanno la forza e il coraggio di tirarsi fuori perché devono sopravvivere. Chi protestava, e ce ne sono stati, veniva lasciato a casa. In un anno di controlli, intercettazioni, pedinamenti e verifiche incrociate, che hanno appurato pure violenze fisiche, sono state cristallizzate due associazioni criminali. La prima si occupava di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. Sedici i caporali che gestivano reclutamento e sfruttamento assieme ad alcuni ’imprenditori’, che organizzavano i furgoni e tenevano la contabilità delle giornate. «Domani le scimmie dove le mandiamo?» si chiedevano. Al loro fianco c’erano i sub-caporali. Il secondo gruppo era impegnato anche nel favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. In cambio di denaro, hanno ricostruito i finanzieri, venivano organizzati matrimoni per garantire la permanenza sul territorio italiano d’immigrati irregolari, o se ne favoriva l’ingresso mediante permessi di soggiorno per ricongiungimento familiare. Decorsi i termini di legge, gli sposi fasulli avviavano le pratiche di divorzio. Cruciale la complicità di un impiegato del Comune di Corigliano Rossano, considerato parte del primo sodalizio e rinchiuso ai domiciliari. Non è finita. Caporali e soci compravano sempre in maniera illecita pure gasolio agricolo per i furgoni e incassavano la pigione per le strutture fatiscenti in cui sopravvivevano i braccianti, spesso in soprannumero e in condizioni al limite dell’umano. Non pochi dormivano a terra. Le due organizzazioni collaboravano ma non sarebbero legate alla criminalità organizzata sibarita, i cui interessi nella gestione delle cooperative sono stati comunque già appurati da altre indagini. Un imprenditore agricolo in passato coinvolto in un’inchiesta su coop e ’ndrangheta è stato ucciso la settimana scorsa nella Sibaritide. È di pochi giorni fa l’ennesima denuncia della Caritas della diocesi di Cassano all’Jonio.