la Repubblica, 10 giugno 2020
La terza vita di Irene Pivetti
Maschere, mascherine, mascheroni e riciclaggio. Ieri la Guardia di Finanza ha fatto una sorpresa a casa e negli uffici di Irene Pivetti, che già aveva i suoi guai, sequestrandole un bel po’ di carte. L’inchiesta milanese riguarda impicci import-export con la Cina e va a sommarsi a quell’altra indagine della magistratura ligure e romana sui dispositivi sanitari, leggi mascherine che in gran copia l’ex presidente della Camera ha tentato di commercializzare, sempre dall’estremo oriente, durante la fase acuta dell’epidemia, ma che non sono mai giunte a destinazione. Non se ne sa molto di più: si vedrà e magari si capiranno meglio i termini della faccenda. Ma intanto ce n’è comunque abbastanza per chiedersi, ancora una volta con desolato divertimento, se rispetto al personaggio e alla fantasmagoria che interpreta da quasi trent’anni, gli aspetti giudiziari non passino in secondo piano, oscurati come sono dal gran teatro italiano, dalla sua stravagante ingegnosità, dalla sua tormentata esagerazione, da una maschera commediante che continua a sorprendere con tratti antichi e trucchi tipici del carattere nazionale. Non a caso Irene Pivetti è figlia e sorella di artisti di palcoscenico; e guarda caso in una delle sue ultime interpretazioni (2019), frugando nell’underground social la si scopre fondatrice e presidente di un partitino che nello stemma recava il profilo turrito della nazione e si chiamava “Italia Madre”. Come tale viveva in bilico fra realtà e apparenza, auguri per la festa della mamma e camere di commercio cinesi, coiffeur e micro-scissioni, finanziarie con sede a San Marino e comparsate televisive, Padre Pio e Lele Mora.
Della “scuderia” di quest’ultimo ha fatto parte con la dovuta spensieratezza, ma di recente si sono accapigliati coram populo rinfacciandosi le peggiori e più pericolose frequentazioni – sempre che non sia una finta. Delineare i confini tra vero e falso risulta infatti problematico. Alla metà degli anni 90 un intero paese, a partire dai più celebrati governanti, cardinali e osservatori, ha creduto che la giovanissima leghista, fatta per spregio da Bossi terza carica dello Stato, fosse davvero una sorta di pallida santarellina, o la reincarnazione cristianista della Vandea, fra camicie verdi, rosari di battaglia, annullamenti rotali e pudici allontanamenti di Veneri nude dai suoi uffici. Tempo un paio d’anni, cacciata dalla Lega e responsabile della caduta di Prodi perché doveva allattare, eccoti Pivetti in tv con Platinette e capelli alla maschietta. Albori del trash sanguinolento, programma di chirurgia estetica, Extreme makeover, un titolo e un destino; poco dopo la si vedrà fasciata di latex nero, a ginocchioni ma con frusta nei paraggi, strillo di copertina: “Mi sento sexy come Catwoman”.
Brutta in tutta sincerità non è mai stata; e nemmeno scostante. Quello che più sorprende nella sua vicenda rimane però la formidabile, in qualche modo addirittura compulsiva attitudine alla metamorfosi; quanto dovuta a vocazione istrionica o a dissimulata furbacchioneria sarebbe l’enigma attorno a cui potrebbe ruotare un ideale film su Irene Pivetti, figura entro cui tutto si mischia, senza più ordine né gerarchia: la leggerezza terminale della politica, la potenza abbagliante dello spettacolo, la combinazione dell’una e dell’altro e la loro fuga verso l’insignificanza – compresi gli affari e ancora di più quelli andati a male su cui la Guardia di Finanza indaga.
In questa sfolgorante prospettiva risulta insieme buffo e triste che Pivetti abbia motivato i suoi orizzonti con l’opportunità di “sviluppare l’Eurasia” e i suoi commerci di mascherine perché “volevo aiutare il mio paese”. Così come risulta limitante utilizzare nel suo caso la categoria, anch’essa tipicamente italiana del trasformismo, perché dopo la Lega ha fondato con alcuni trasfughi padani il partito dell’Orsetto, poi ha scoperto il lobbying degli ex dalemiani di Velardi, quindi si è avvicinata a Mastella, per poi ammiccare al sovranismo salviniano (lungimirante Matteo: “Mi piace molto, conosce la macchina amministrativa”, 2016) e adagiarsi in ciò che resta di Forza Italia. Robette. La vera e autentica Pivetti, sorvegliata nel sorriso, cangiante nell’acconciatura, oltre dotata che di buon vocabolario (è nipote dell’insigne studioso e linguista Aldo Gabrielli) la si acchiappa al meglio nel cuor della notte accucciata nelle sfere felliniane di Barbara D’Urso mentre interviene con garbo sulla lite tra Nina Moric e Luigi Mario Favoloso. Crozza la imita. Staffelli le consegna il tapiro disinfettato. La Giustizia la importuna, ma poi fino a un certo punto.