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 2020  giugno 10 Mercoledì calendario

Luigi Cesaro

Il terremoto di Sant’Antimo ha come epicentro la royal family. Qui, nel paesone a Nord di Napoli, nel casertano profondo e ormai da troppo tempo ferito nel paesaggio, nella vivibilità, nella legalità, lì dove (per dirla con Italo Calvino ci si cala nell’inferno di palazzacci e speculazione «per farne parte al punto di non vederlo più», i Cesaro sono tutto. Padroni riveriti. Parte del paesaggio inamovibile. Al punto che, come massimo segno di celebrità ma anche di potere, il più in vista dei quattro fratelli – ossia il senatore Luigi che è ancora in libertà mentre Antimo è in carcere e Aniello e Raffaele sono ai domiciliari – si è meritato l’imitazione da parte di due delle massime star della comicità. C’è Crozza che fa la parodia di Luigi, supercampione della caccia al voto, gran raccoglitore di consensi targati Forza Italia fino a renderlo il signorotto del partito in Campania, e la fa così: «Nun song’ io ch’aggio vutato comm’a lloro, so’ chilli ch’hanno vutato comm’ a mme!». E l’altro comico, il governatore De Luca, è quello che di Cesaro dice così: «È in guerra da decenni con la grammatica e la sintassi, è uno sterminatore di congiuntivi. Ed anche un individuo che con espressione mitico-allegorica viene chiamato Giggino a Purpetta». Ecco, gli svarioni dell’esponente più famoso della Cesaro Family sono entranti nella leggenda della politica nazionale. Da presidente della Provincia di Napoli (ma è stato anche più volte deputato e coordinatore napoletano del Pdl e di Forza Italia), Giggino confuse Marchionne, l’ad della Fiat, con Melchiorre, uno dei tre re Magi; oppure ha espresso un «tic tac» al posto di un diktat. Le sue scivolate linguistiche sono cliccatissime dai frequentatori di Youtube e buon per lui. 
Quanto al proverbiale soprannome. Le versioni sulla sua origine sono due. La prima: purpetta cioè polpetta in quanto il tipo è fisicamente rotondo (mentre il figlio Armando, a sua volta big forzista in regione, è più slanciato ma terminologicamente è apparentato al genitore e lo chiamano Purpetiella, piccola polpetta). La seconda versione è quella che però più piace agli amanti del genere noir che narrano: Cesaro viene detto a Purpetta perché, ad ogni appalto vociferato era solito pronunciarsi elegantemente: «E a purpett’ pe’ me nun jesce?». Chissà se è vero. 
IL CONTESTOMa non vivono in un contesto tranquillo, e forse non hanno contribuito a migliorarlo, i Cesaro. In quella terra dove le famiglie Verde (con il capo Francesco detto O negus) e Puca (con il boss Pasquale) si sono sempre spartiti potere e territorio tra alleanze e guerre. E non c’è dubbio che una storia giudiziariamente accidentata abbiano avuto i Cesaro, tra inchieste, arresti, condanne in primo grado (proprio a Giggino) ma non in secondo né in Cassazione (grazie al giudice Carnevale, soprannominato «l’Ammazzasentenze»). 
Da Cesaroland partì l’avventura politica del Purpetta, che è un tipo di poche parole che si muove felpatamente da professionista della politica a modo suo, socialista nell’animo e infatti nel ventennale della morte di Craxi nel gennaio scorso era ad Hammamet con tutti gli altri, molto rispettato tra i berlusconiani per la sua forza elettorale e quando il Cavaliere nel marzo del 2006 andò a Sant’Antimo fu celebrato come un sovrano nella sala della polisportiva e il suo vicerè Giggino ha toccato per l’ennesima volta con mano tutto il proprio potere e la devozione del popolo. Ma c’è anche una parte di Forza Italia che ha sempre mal sopportato lo stile della Purpetta e la sua macchina del consenso già pronta anche per la prossima tornate delle elezioni amministrative di settembre in Campania. E comunque in questi anni giggini i suoi fratelli Antimo, Aniello e Raffaele, hanno continuato a fare affari soprattutto nel campo della sanità privata e convenzionata con il Servizio sanitario nazionale. È del resto tutto sdrucciolevole e scivoloso il terreno di Cesaroland, che è terra di mozzarelle ma piovono polpette.