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 2020  giugno 09 Martedì calendario

Notre-Dame sotto i ferri

È cominciata ieri l’operazione decisiva per il salvataggio di Notre-Dame, lo smontaggio della gigantesca impalcatura che era stata costruita per restaurare la guglia della cattedrale, poi crollata durante l’incendio del 15 aprile 2019. Quella sera i 40 mila tubi pesanti 200 tonnellate contribuirono forse a sostenere la struttura, ma il calore sprigionato dal rogo li ha saldati e nei mesi successivi sono diventati una minaccia per la stabilità della cattedrale. «La grande difficoltà è che l’impalcatura si è saldata e che bisogna tagliarla a pezzi – dice il rettore Patrick Chauvet —. Solo quando avremo finito potremo dire che la chiesa è salva al 100%».
Due squadre di cinque «cordisti», gli operai appesi alle funi, si caleranno a turno per tagliare con la sega elettrica i tubi metallici fusi gli uni agli altri. I pezzi di impalcatura saranno allora tolti grazie alla gru alta 80 metri montata nel dicembre 2019. «Quei tubi sono una specie di tela di ragno che imprigiona la cattedrale – dice Christophe Rousselot della fondazione Notre-Dame —. L’ossessione di tutti era liberarla, finalmente ci siamo». 
Comincerà poi la fase di ricognizione accurata dei danni per poter stabilire finalmente un piano di restauro. Il presidente Emmanuel Macron, poche ore dopo il disastro, fissò l’obiettivo di una riapertura entro il 2024: un modo per scuotere i francesi e esortare il Paese a trasformare la grande emozione in capacità di agire, in modo da restituire Notre-Dame a Parigi in tempo per l’Olimpiade del 2024. Molti esperti hanno giudicato troppo ottimistico il termine chiesto da Macron, e il blocco dei lavori seguito all’epidemia ha aggiunto mesi di ritardo. «Eppure non è impossibile farcela per il 2024 – dice la direttrice della Fondazione del patrimonio Célia Vérot —. La fase attuale è la più delicata ma poi potremmo recuperare». Resta da decidere come ricostruire la guglia di Viollet-le-Duc andata distrutta: uguale all’originale, come vorrebbe l’architetto Philippe Villeneuve, o piuttosto scegliendo la «ricostruzione inventiva» auspicata da Macron.