la Repubblica, 9 giugno 2020
Il mondo di Franca Valeri
Ha saputo delle mascherine, della quarantena, ma con discrezione perché da due anni non vede la tv. Non le interessa. In ogni caso, sembra che non l’abbiano intimorita e per prima cosa viene in mente quando in Parigi o cara, il film del suo primo marito, Vittorio Caprioli, diceva: “Grazie a dio che c’ho una filosofia che è ’na cosa fantastica”. Franca Valeri il 31 luglio raggiungerà un secolo di vita, età straordinaria, segreta, ed è talmente tranquilla da avvisare serenamente: «Direi che sto bene». Anche la figlia, Stefania Bonfadelli, che è diventata il suo tramite con il mondo, che la fa parlare, ricordare e accoglie gli amici, lo conferma: «Sì, Franca sta bene, ovvio, qualche giorno di più, qualche giorno di meno. Non può leggere e scrivere, ma le piace ancora ragionare». E abitando a Roma nello stesso palazzo al Fleming, vicino a corso Francia, il pomeriggio Stefania le fa i quiz musicali, sulle opere per esempio, e Franca in poltrona con intorno Aroldo (dall’omonima opera di Verdi) detto Roro, quarto della stirpe dei suoi adorati King Charles, e la gattina Cocò, se sbaglia risposta non ci sta. Ma non sbaglia quai mai. «La mia mente lavora molto – rassicura – ma i miei pensieri sono soprattutto verso il passato. Penso agli amici che non ci sono più, ai miei genitori, perfino ai nonni».
Franca Valeri è una delle più brave, argute attrici, scrittrici e registe dello spettacolo italiano. Quando ha cominciato a farsi notare era la metà degli anni Cinquanta, aveva viaggiato e letto molto. Carismatica, moderna al cinema, anche in ruoli non da protagonista, in tv spiritosa e sagace negli show del sabato e ovviamente in teatro, conscia che il senso del proprio valore era l’intelligenza e il sense of humour, cose che ha ancora. Basta ascoltarla quando parla di oggi, di chi siamo: «Per me è difficile uscire di casa, per varie ragioni, ma devo dire che da un certo punto di vista non mi dispiace, non vedo certe brutture. I politici non fanno parte di una categoria che mi desta interesse. Gli artisti li conosco poco. Mi fa ridere come si conciano le persone. Un po’ ridere e un po’ mi sconcertano. Non si vede più una donna con un taglio di capelli che si possa chiamare tale. Manderei in esilio chi ha inventato i fuseaux, che sembrano i preferiti dalle donne grasse. E gli uomini con le barbe incolte e i tatuaggi. Orrore».
Alberto Sordi che è stato uno dei suoi grandi amici, e insieme hanno fatto ben sette film, tra cui Piccola posta ( 1955), Il segno di Venere ( 1955), Il vedovo (1959), diceva che stavano bene insieme perché erano due comici e dunque non si rubavano le battute, facendo venir voglia di riascoltarle subito, con cui Franca Valeri ha reso onore a schiere di mogli, segretarie, zitelle e rompiscatole, consacrandole nei due leggendari personaggi, la sora Cecioni e la signorina snob, popolana una, aristocratica l’altra, entrambe argute e pestifere come lei vedeva le donne, tanto che anche le ragazze di oggi vanno a cercarle su YouTube. Lei è contenta perché ai giovani è sempre stata legata. «A loro consiglio di non avere sogni ma progetti, e di darsi da fare senza cercare scorciatoie, tanto non servono», dice.
I suoi anni più belli sono stati quelli del dopoguerra. «Chi non li ha vissuti non può capire. Erano anni pieni di opportunità per tutti. C’era tanta voglia di fare dopo gli anni bui e terribili della Seconda guerra mondiale – racconta – gli anni passati a recitare a Parigi con la compagnia dei Gobbi, di cui facevamo parte io, Vittorio Caprioli, Alberto Bonucci sono stati i più felici della mia vita. No, non ho rimpianti. Ho qualche malinconia forse...». Ma intanto c’è il compleanno da celebrare. «Me ne starò a casa, tranquilla, con la mia famiglia e qualche amico. Spero che la mia nipotina mi suoni un pezzettino di un’opera. Ha già detto che mi farà una torta al cioccolato ma io voglio sentirla suonare. Ascoltare la musica è l’unico momento che non mi annoia».
Cosa ha amato di più nella sua vita? «Non ho dubbi. Ho amato il teatro più di ogni cosa. L’ho sempre immaginato come un uomo affascinante ed esigente. Ho amato anche degli uomini, naturalmente, ma non avrei lasciato il teatro e il mio mestiere per nessun uomo al mondo. Quando si apre il sipario, si apre un orizzonte che esclude tutti gli altri». Le pesa non poterci andare? «Mi pesa non poter recitare, non poter essere più indipendente. Mi pesa non faticare più».